Un anno fa sono stato a New York, città che considero indispensabile punto di riferimento per capire il mondo odierno. Specie se si ha interesse a scavare in quella storia necessaria della convivenza - tema complesso e talvolta doloroso, ma certo stimolante - di mondi diversi nello stesso spazio geografico. Nel caso americano questa situazione ha forgiato, quale sintesi di tante identità intersecate, uno dei cuori pulsanti dell'umanità contemporanea. So bene quanto sia ormai discutibile e spesso contraddittorio il famoso melting pot (miscuglio, calderone di diversi gruppi etnici) americano, ma stupisce sempre in positivo la capacità degli Stati Uniti di forgiare una maggioranza di cittadini che si riconoscono infine in valori comuni, pur partendo da realtà diverse se non persino opposte.
Emblematico per capire tante cose su come nasce tutto ciò è quel luogo evocatore che è Ellis Island, isolotto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. L'originaria superficie fu incrementata fra il 1890 e il 1930 con i detriti derivanti dagli scavi della metropolitana di New York, fino a raggiungere gli attuali undici ettari, che ospitano oggi un luogo museale senza eguali suggestivo e straziante per i dolori e le attese che trasudano dalle vecchie pareti. Infatti questo antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stato il principale punto d'ingresso per gli immigrati che sbarcavano negli Stati Uniti alla ricerca di una nuova vita. Già via Web avevo visto che c'erano dei Caveri passati di lì non so poi con quale destino, chi partito da a Genova (a due passi da Moneglia e dai paesini dell'entroterra dove vivevano i miei avi più lontani, prima che il mio bisnonno venisse in Valle d'Aosta e ci imparentassimo con famiglie di antico ceppo locale), chi da Le Havre in Francia forse perché costava meno il viaggio e chi, dopo una prima emigrazione, dall'Argentina, dove un ramo dei Caveri è rimasto, parte a Buenos Aires e parte in Patagonia. Vedendo questo luogo di sbarco, dove gli americani avevano messo in opera una macchina efficace ed anche spietata per regolare l'afflusso dei migranti, ho provato a immaginare che cosa provassero con quei viaggi della speranza verso un orizzonte sconosciuto. Per noi è ormai difficile capire che cosa significassero i porti prima dell'avvento e della diffusione degli aerei. "Porto" deriva dal latino "portus", che significa "passaggio" o "varco" e non è difficile capire il perché di quella rete fitta che legava i continenti. Ed oggi viviamo una sorta dicotomia: i porti di oggi sono per noi viaggiatori diventati gli aeroporti, mentre i porti - non solo nel Mediterraneo - sono luogo di partenza e di approdo di chi fugge e non può avere una carta di imbarco su di un volo. Ho visitato il porto di Pozzallo in Sicilia, uno dei luoghi diventati famosi per l'arrivo dei migranti: si tratta di un porto triste e senza alcun fascino con i suoi moli e le banchine di cemento. Così come ho visto Lampedusa, dove il porto era più luogo di pescherecci e barche per i giri turistici, mentre è diventato anch'esso simbolo di quei barconi che le mafie fanno partire dalle coste africane ed arrivano in questo lembo d'Italia. Mi sarebbe piaciuto vedere i porti del passato, oggi rinvenibili solo nella letteratura, che testimoniavano come da lì transitassero uomini con le loro storie e la contaminazione di culture che fa viaggiare con le persone con le loro idee e scoperte. Oggi, seduto in una grande aeroporto, ritrovo forse quell'aria che un tempo era sui mari e con quei viaggiatori che oggi attendono di solcare i cieli verso destinazioni molteplici. Stare a vedere - anche con i propri giudizi e pregiudizi - questo pullulare di persone diverse, ognuno con la propria destinazione, è un esercizio che trovo interessante. Oggi che i confini si irrigidiscono e ricostruiamo muri, frutto anche di paure che si inoculano anche nel più cosmopolita, è sempre interessante scoprire in un luogo ristretto qual è un aeroporto, dove si va e si viene, quante varietà di culture siano sortite da questa nostra unica razza umana. Se ci fosse un moderno viaggio di Ulisse non ci sarebbero porti e navi, ma aeroporti e aerei.