Giorgio Faletti, che tra l'altro veniva ad Ayas in montagna, era stato dapprima un comico caricaturista eccezionale, solo più avanti si scoprì la sua interessante vena di scrittore. A lui si deve questa frase, adatta di questi tempi inattesi e piombati su di noi come una sorta di angelo sterminatore. Ecco Faletti: «L'errore che tutti gli uomini fanno da sempre. Cercare di mostrarsi forti e sprezzanti e vincitori quando forse basta avere il coraggio di chinare la testa e dire: ho paura». Giorni fa, ho evocato due sentimenti che sono anche stati d'animo, il coraggio e la felicità, in questi tempi di "coronavirus", mentre ora vorrei dire della paura. Ho molti pensieri come tutti: il virus colpisce vicino e lontano, facendo morti e danni, creando un mondo ancora più insicuro di quello che conoscevamo. In più il ricordo delle epidemie c'è nella Storia e dentro il nostro "Dna" e nella memoria collettiva che ci forgia culturalmente. Ecco perché ci sono paure ataviche che ci dominano per via di chi le ha vissute e delle tracce che sono rimaste.
Io ho paura come tutti e non vedo perché dovrei negarlo. Non solo per me, ma soprattutto per i miei cari e penso che per i miei figli questa sarà una prova che li cambierà perché molto cambierà attorno a loro ed anche dentro di loro, pur con la differenza fra i due ventenni e il piccolo novenne, meno consapevole, anche se istruito su che cosa sta avvenendo. Francesca Parlato su "Fanpage" ha scritto un articolo interessante sul tema, dove annota: «L'assoluta unicità del momento che stiamo vivendo ci sta mettendo di fronte a nuove sensazioni con cui dover convivere. "La paura è un'emozione che ha anche una funzione buona nella nostra vita - ha spiegato la dottoressa Valeria Locati psicologa e psicoterapeuta - è una manifestazione funzionale, serve a farci riconoscere quando effettivamente esiste un pericolo. Il problema si crea quando a fronte di una comprensibile e sana paura di ciò che stiamo vivendo, si affianca uno stato d'animo molto spesso ingestibile come l'ansia"». Così più avanti virgoletta la stessa esperta: «"Le nostre risorse ci sono ancora. Le risorse che avevamo prima che scoppiasse la pandemia, quelle che avevamo quando eravamo persone che si muovevano nel mondo e che riuscivano a portare a termine i loro compiti, esistono ancora, non sono scomparse. Solo che sono coperte e sommerse da questa ondata di fatica e di paura. Per cui una buona cosa potrebbe essere ripartire proprio da noi". Allora diamo fondo alle nostre risorse, ripartiamo da ciò che ci piace fare, dalle attività che sappiamo essere in grado di regalarci piacere. "Noi ci conosciamo, sappiamo quali sono le attività che ci rilassano, che ci svagano, che ci aiutano a distogliere l'attenzione da un pensiero negativo. Cerchiamo di metterle in pratica anche nel nostro ambiente casalingo". Per chi invece è sorpreso da un attacco di panico la prima cosa da fare e aprire le finestre: "Respiriamo il più possibile aria. E cerchiamo di lasciare andare il pensiero in quel momento. Non possiamo fare molto di più: possiamo soltanto gestirlo accogliendolo e per poi lasciare andare via il pensiero negativo, concentrandosi su qualcosa di diverso. Anche se sappiamo che ci costerà grande fatica"». Sono suggerimenti utili. Per ora devo dire mi limito a cattivi pensieri e ad auscultare il mio corpo, specie quando ho scoperto di aver incontrato - senza mai particolare intimità da mettermi in quarantena volontaria - alcuni positivi al virus, tirando un sospiro di sollievo alla fine del periodo di possibile incubazione. Come tutti - ma meno di alcuni decisori che in Valle d'Aosta neppure hanno fatto autocritica - ho preso alla leggera le prime fasi della malattia per ignoranza, che ho cercato di colmare e dopo queste settimane di crisi sanitaria penso di aver acquisito elementi utili, che attenuano la paura, malgrado la gragnola di cattive notizie che stordirebbero anche un ottimista inveterato. Scriveva anni fa su "Avvenire" il Cardinale Gianfranco Ravasi in una considerazione che torna buona anche oggi: «Non dobbiamo reprimere la paura dietro un volto lieto. Non dobbiamo resistere alla paura con tutte le forze. Non dobbiamo ignorare l'esistenza della paura né dominarla con una volontà sempre ferma. La paura ci appartiene; non è nemico, bensì un ospite da accogliere con la convinzione che il padrone di casa è più forte di lui!». E ancora: «Proprio perché realtà umana, non dobbiamo esorcizzare la paura facendo finta che non esista o cercando di sopraffarla con la baldanza e l'arroganza. Anche perché, buttata fuori dalla porta, rientrerà dalla finestra. Bisogna, allora, imparare a convivere con la paura, sapendo che essa è simile a un ospite. Un ospite forse un po' sgradito ma che è possibile controllare, anzi, finalizzare a un compito. La paura, infatti, ci rende più umani e più umili. Ci fa più attenti al rischio e alla complessità della vita. Ci allena ad essere più coraggiosi e pazienti. Ci mostra che esiste il male con una forza da non sottovalutare. Possiamo, perciò, considerare la paura come un'educatrice. Certo, essa può diventare patologica: "Per chi ha paura, tutto fruscia", diceva già il tragico greco Sofocle. Essa non deve prendere il sopravvento come padrona di casa, ma la sua presenza non deve essere considerata necessariamente come una maledizione». Parole di un uomo di fede valide anche se riportate nella vita civile, quando si è di fronte ad una catastrofe sanitaria come quella in cui ci troviamo, viviamo da soli e assieme agli altri le nostre legittime paure.