La parola "vecchio" ormai è diventata desueta e si usa perlopiù e con molto pudore il termine "anziano" ed immagino che certi paladini del politicamente corretto potrebbero lanciarsi in un ponziopilatesco "diversamente giovane". In Francia ho visto che, copiando l'inglese che lo ha rubato al latino, si usa il termine "senior" da noi usato come categoria negli sport o, come anglicismo, in alcune professioni. Comunque lo si camuffi (tipo i capelli tinti del premier Giuseppe Conte), invecchiare si invecchia e ciò avviene in età sempre più avanzata e la fetta di popolazione più attempata da noi in Occidente cresce a passi da giganti nella morsa fra natalità sempre più bassa e aumento della possibilità di vita. Le "pantere grigie" sono buoni consumatori, sono stati risparmiatori e godono - assieme ai familiari più giovani che aiutano sempre più con il loro denaro - di un discreto benessere, facendo una media, dunque con le dovute eccezioni al ribasso.
Questa epidemia, ormai pandemia, purtroppo ha dimostrato una fragilità della popolazione più anziana ed un pensiero doveroso deve andare a chi non ce l'ha fatta ed a chi combatte. Specialmente preoccupano i focolai che hanno colpito gravemente le nostre microcomunità per anziani e si è obbligati, oltre ad accertamenti seri sul perché non ci sia stata un'azione preventiva, alla riflessione verso le fasce più a rischio per ovvie ragioni, comprese le circostanze che rendono facili i contagi anche per il personale che lavora in queste strutture. Sono scelte importanti ed argomenti non facili e devo dire di avere visto due punti di vista molto diversi. Una grande commozione e partecipazione di amici che avevano i propri cari, talvolta in età molto avanzata e con patologie gravi come il Morbo di Alzheimer, che hanno vissuto con sincera angoscia la solitudine del forzato isolamento dei propri cari (non tutti hanno questa sensibilità). Un certo cinismo invece alberga in chi commenta queste morti come una specie di elemento naturale, senza alcuna umanità, per persone considerate come "posteggiate", in attesa della loro ultima ora. Pur essendo - ma lo annoto a margine - fra coloro che considerano legittima ogni autodeterminazione rispetto al confine tra vita e morte nella propria esistenza personale, mi ribello al pensiero che venga meno, anche solo nel pensiero, una solidarietà inter-generazionale che, senza brandire gli obblighi di assistenza da codice civile, è anzitutto un dovere morale verso chi si trova ad essere vecchio. Lo dice in modo poetico Giovanni Verga: «I giovani hanno la memoria corta, e hanno gli occhi per guardare soltanto a levante; e a ponente non ci guardano altro che i vecchi, quelli che hanno visto tramontare il sole tante volte». In maniera più brutale, che ci obbliga ad avere un approccio diverso rispetto a certi modelli di strutture che stanno sempre più diventando attesa verso "l'ultima Thule", vi viene da una riflessione di Natalia Ginzburg: «La vecchiaia vorrà dire in noi, essenzialmente, la fine dello stupore. Perderemo la facoltà sia di stupirci, sia di stupire gli altri. Noi non ci meraviglieremo più di niente, avendo passato la nostra vita a meravigliarci di tutto; e gli altri non si meraviglieranno di noi, sia perché ci hanno già visto fare e dire stranezze, sia perché non guarderanno più dalla nostra parte. […] L'incapacità di stupirsi e la consapevolezza di non destare stupore farà sì che noi penetreremo a poco a poco nel regno della noia. La vecchiaia s'annoia ed è noiosa: la noia genera noia, propaga noia intorno come la seppia propaga l'inchiostro. Noi così ci prepareremo ad essere assieme e la seppia e l'inchiostro: il mare intorno a noi si tingerà di nero e quel nero saremo noi: proprio noi che il colore nero della noia l'abbiamo odiato e rifuggito tutta la vita. Fra le cose che ancora ci stupiscono c'è questo: la nostra sostanziale indifferenza nel sottostare a un simile nuovo stato. Tale indifferenza è provocata dal fatto che a poco a poco veniamo cadendo nell'immobilità della pietra». Mai bisogna mettere assieme quel loro rischio della loro indifferenza e l'indifferenza della società, cui tocca il compito di vicinanza e assistenza.