Quanti pensieri, talvolta troppi, si affollano in questa prova del "coronavirus", cui siamo chiamati. I peggiori li vivi quando esci dal confinamento per motivi di lavoro o per altro ed il tempo sembra rallentare nel fare attenzione ad ogni mossa e ad ogni incontro. Viene in mente la celebre spiegazione di Albert Einstein, quando così rispose, ironico ma non troppo, ad una interlocutrice: «Signorina, se venissi chiuso per due ore in una stanza con lei, il tempo sembrerà passarmi in un attimo. Se invece... be', sì... se venissi chiuso per due ore in una stanza con il qui presente, ingegnere illustrissimo Michele Besso, il tempo sembrerà non passarmi mai! E' semplicemente questa la relatività, signorina...». Besso era il suo amico di sempre, ingegnere svizzero di origine italiana che conobbe, lavorando all'ufficio brevetti a Berna.
Questa storia della lentezza, oggi verrebbe da usare "slow-motion" o meglio il rallentatore, è una caratteristica nuova, rispetto alla consueta frenesia. Non penso che sia solo un aspetto negativo, ma finirà per ricentrarci al momento della ripartenza, che in queste ore è la nota dominante forse come antidoto ad un generale sfinimento. Ma se l'idea sarà quella della "luce verde", allora sarà difficile sradicare l'idea del "rompete le righe" e le conseguenze saranno drammatiche se saranno in troppi a sbracare. Certo l'isolamento e la sospettosità verso gli altri, possibili "untori", ha la caratteristica paradossale di manifestarsi mentre tutti ci accorgiamo della preziosità dei rapporti umani, anche i più banali, originati da quella routine che davamo per scontata, benché fatta da piccole cose. E' vero che l'epoca digitale - come facevamo prima senza Internet? - ha consentito di mantenere vivi, nel lavoro e nel privato, la rete dei nostri contatti. Ma la nostra umanità è fisicità, sono i segnali che diamo con il nostro corpo, come guardarsi negli occhi, stringersi la mano (il peggio di questi tempi!) e tutto il resto. Si staglia questa certezza: una nuova epoca è stata aperta da tecnologie mirabolanti, ma restiamo animali sociali, che hanno bisogno della certezza dei contatti attraverso tutti i nostri sensi. Sembra una cattiveria aggiuntiva che fra i sintomi del virus ci sia la scomparsa dell'odorato e del gusto, segno tangibile, accompagnato da ben di peggio, della nostra terribile fragilità, malgrado tutto. Per chi ama la Politica e l'ha praticata a lungo ci sono alcuni insegnamenti, che non so bene se alla fine ricadranno sulla popolazione nel suo insieme. La prima riguarda i governanti, a qualunque livello. Così ha risposto ad un lettore, nello spazio delle lettere al giornale, Luciano Fontana, direttore del "Corriere della Sera": «Il tasso di impreparazione e improvvisazione è stato però molto alto. Penso che sia anche l'effetto di quanto è accaduto negli ultimi decenni con il fiorire di leader che dovevano piacere, conquistare "like", sparare a raffica ricette improbabili invece che essere preparati e avere una strategia forte sul futuro del proprio Paese. Ora guardiamo con ammirazione e pendiamo dalle labbra di medici e scienziati, riscopriamo quanto sia importante la formazione, la ricerca, la competenza. E' una lezione per non sbagliare più, per capire quali sono le vere priorità per il Paese, per i cittadini e per il loro governo». E' verissimo e resta, come lezione, non solo la necessità di competenza e di come la Politica resti il caposaldo nel momento dell'emergenza come snodo dove si debbono assumere le decisioni capitali, ma aggiungerei che la prova che stiamo vivendo ribadisce come il senso di cittadinanza e il civismo debbano essere un valore da riaffermare, in tempi in cui tutto sembrava slabbrarsi nella convinzione di troppi che ai diritti non corrispondano mai doveri. Si è visto in azione, contro un rischio crescente di inanità, cosa voglia dire ed a quali risultati porti quel rimboccarsi le maniche, che è il grande insegnamento di quella generazione di ottantenni e novantenni che sono stati - nella crudele cecità della malattia - i più colpiti, persino falcidiati dal maledetto "coronavirus". Si collega a questa constatazione il terno al lotto di certe malattie, che non hanno riguardi per nessuno o logiche facilmente intellegibili che ci facciano capire perché "sì" e perché "no". Ma è vero che la Scienza, pur percorsa anch'essa da polemiche e personalismi, svetta come grande vincitrice contro certi oscurantismi che hanno percorso in questi anni di cialtroni, complottisti, mitomani, settari e si potrebbe proseguire l'elenco di chi ha giocato contro certezze acquisite, inquinando la civile convivenza e dimostrando come troppo spesso l'informazione attinge al Male a piene mani, perché il Bene e la Normalità non fanno audience. Anche questa lezione serve e pone l'Informazione al centro dell'attenzione, perché senza un giornalismo serio e consapevole si scivola verso il disastro e la necessaria pulizia sul Web non è chissà quale censura, quando colpisce forme di disinformazione e di inciviltà. Fra gli aspetti di degrado con cui concludo questa mia miscellanea di pensieri è il paradosso di come una storia di contrasto ad una malattia, di per sé stessa da combattere in modo unanime dall'Umanità intera, sia scivolata verso forme di nazionalismo cieco, come se ci fossero confini nell'espansione della malattia e non ci debba essere un idem sentire per sconfiggerla. Lo stesso antieuropeismo, per la cecità dimostrata da alcuni Paesi e da istituzioni comunitarie, preoccupa perché si tratta di un'ondata - non a caso cavalcata da Russia e Cina - di evidente irrazionalità, che nulla ha a che fare con la necessità, manifestatasi con evidenza, di rifondare su basi diverse l'Unione europea. Ma l'idea che ognuno debba chiudersi nelle proprie frontiere è una bruttura anacronistica, che non porterebbe da nessuna parte. E bisognerebbe in ogni momento, specie quando capisci che certe campagne sono orchestrate affinché la popolazione ci caschi, l'antico motto «A chi giova?». Un cenno conclusivo ad un fenomeno parallelo: l'esaltazione dello Stato-Nazione contro i poteri di democrazia locale come Regione e Comuni. Se la nostra Repubblica avesse dovuto aspettare efficacia, efficienza e certezze da Roma la pandemia avrebbe avuto esiti ancora peggiori. I territori hanno saputo reagire, chi meglio e chi peggio e con errori che dovranno - anche in Valle d'Aosta - servire da lezione. Ma esaltare il centralismo, a braccetto con il già citato nazionalismo, è un errore grave. E l'odiata Germania, che ha evidenziato grettezza anche di fronte al "coronavirus", ha dimostrato esattamente quanto segue: un modello di Stato su base federale limita i danni di fronte alle catastrofi e questo dimostra quanto i centralisti all'italiana sbaglino strada.