E' del tutto normale che ci sia una sorta di rilassamento rispetto ai rischi del "coronavirus". Da una parte per tutto, compreso il rischio tirato per le lunghe, si crea nella vita una sorta di assuefazione che ci rende più lassi. Dall'altra è parso di capire che il caldo ostacola il virus (mi sembra una delle poche cose su cui i virologi litigiosi fanno l'unanimità) e visto che fa caldo ci si può, ma certo è una presunzione, prendere una pausa. Lo dico per me stesso e non per gli altri. La distrazione di una stretta di mano, la mascherina da cavare di tasca in fretta entrando in un bar, le mani sempre frizionate che prendono una pausa, meno paranoie se ci trova in un luogo affollato. Ce ne sono molti di posti e di occasioni con troppa gente non distanziate con Forze dell'ordine che dimostrano tolleranza, capendo il generale affaticamento.
Eppure disciplinatamente ho scaricato la app "Immuni" che dovrebbe tracciarmi e dirmi se ho incontrato un infetto e viceversa servirebbe nel caso in cui il malato fossi io. Ma la app continua a dirmi che dove sono non funziona e gli ottimisti sui "social" mi scrivono che si tratta solo di un bug risolvibile al prossimo aggiornamento. Ma in realtà a vanificarne l'uso l'abbiamo scaricata in troppo pochi per farla funzionare davvero. Perché? Paura, per altro infondata, di essere schedati? No, credo che sia una specie di sciatteria e non altro. Della serie "se ne può fare a meno", in una smemoratezza delle responsabilità collettive che gravano su ciascuno di noi. Ben diversa è la questione dei test sierologici. Io ne ho fatti due: uno a pagamento ed uno come dipendente "Rai". Mi sembrava utile per capire. Ma l'andamento della campagna in corso mostra parecchio disinteresse. Ne ha scritto Luciana Matarese su "HuffPost", riferendosi alla chiamata per l'indagine di sieroprevalenza, promossa dal Ministero della Salute ed "Istat" e realizzata con la collaborazione operativa della Croce Rossa per scoprire quante persone nel nostro Paese abbiano sviluppato anticorpi al coronavirus: «Partita il 25 maggio, si è conclusa con un risultato al di sotto delle aspettative di ideatori e organizzatori. All'appello, infatti, ha risposto circa la metà del campione individuato, centocinquantamila persone in duemila comuni». Poi la giornalista si occupa delle percentuali: «E' il caso dell'Emilia-Romagna, tra le più colpite nella prima fase dell'epidemia, che con il suo 39,5 per cento, figura agli ultimi posti della classifica. Adesioni basse anche in Sicilia (37 per cento) e in Calabria (38,9 per cento), dove, però, il "covid-19" ha infierito assai meno. La maglia nera spetta a Bolzano, dove la percentuale si è fermata a 29,5 mentre, complessivamente, in Trentino - Alto Adige si è attestata su 45,5. Al primo posto figura la Basilicata (71,5 per cento) seguita da Marche (68 per cento), Valle d'Aosta (66,8 per cento) e Umbria (62,6 per cento). Poi Molise (59,8 per cento), Abruzzo (57,4 per cento), Sardegna (55,8 per cento), Puglia (53,8 per cento), Friuli-Venezia Giulia (51,9 per cento) e Veneto (51,4 per cento). Al di sotto del cinquanta per cento si colloca la Lombardia, la regione più colpita dalla pandemia, dove le adesioni sono arrivate al 46,5 per cento, seguita da Liguria (46,3 per cento), Toscana (45,6 per cento), Lazio (44,7 per cento), Piemonte (41,8 per cento) e Campania (41,2 per cento)». Non male la Valle. Bolzano è la cartina di tornasole di un fatto che ritengo evidente: dove ci sono molti "noVax" si evitano anche i test e questo peserà terribilmente quando avremo il vaccino e molti non lo vorranno fare. Trovo ogni giorno persone impensabili che mi ammorbano con ragioni fantasiose e antiscientifiche a giustificazione di un'eventuale scelta di non fare il vaccino. Roba oscurantista da prendere in mano con serietà, perché questa volta non si potranno trovare soluzioni ponziopilatesche. Conclude la stessa Matarese il quadro con molte zone d'ombra: «Certo, le difficoltà non sono mancate, esattamente come si sono registrate per l'avvio di "Immuni", l'app ideata per tracciare la prossimità e i contatti fra le persone, l'altro fronte della strategia delle tre "T" ideata dal Governo - "test, tracciamento, trattamento" - per tenere a bada il contagio e monitorare l'andamento del "covid-19" dopo la prima ondata pandemica, attualmente scaricata da poco più di quattro milioni di italiani (a inizio luglio erano quattro milioni e 100mila persone). E come nel caso dell'indagine sierologica, a complicare il quadro reso difficile dalla novità del virus, poco conosciuto dagli scienziati e al momento inafferrabile - di recente nuovi studi hanno rivelato altri aspetti da approfondire - si aggiunge anche una certa qual diffidenza, una certa pigrizia di tanti italiani. Che faticano a indossare la mascherina, a mantenere le distanze consigliate e a scaricare "Immuni" e, convocati per l'indagine di sieroprevalenza, rifiutano di sottoporsi al test. Magari per il timore di scoprirsi positivi e dover poi fare tampone e quarantena». Ci vorrebbe un'iniezione di buonsenso.