Di questi tempi mi trovo a dover prendere decisioni che turbano il mio consueto tran tran e dunque, pur raramente sedendomi sul mio vissuto quotidiano, ciò comporta una visione prospettica superiore rispetto alla normalità. Mi sforzo di ragionarci non perché nella vita si possa pianificare il futuro con ragionevoli certezze, ma perché non varrebbe neppure vivere, aspettando che chissà quale destino ti trascini da qualche parte. Mi riconosco in una frase di Italo Calvino: «Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore». Tuttavia questo non significa affatto non trovarsi obbligati a domare certe inquietudini.
L'incipit necessitava, perché se si approfondisce l'antico concetto di "horror vacui" ci si infila in una serie di significati per nulla semplici. In filosofia si potrebbe ricordare - ma non ci porta molto distante - che si tratta di un concetto fondamentale della fisica aristotelica che, in polemica con la fisica democritea, asseriva l'inesistenza di spazi vuoti di materia nel mondo naturale. E tutto finirebbe lì in un cantuccio interessante di speculazione specialistica. Idem per l'uso dell'espressione nel mondo artistico di riempire completamente l'intera superficie di un'opera con dei particolari finemente dettagliati, ma non mi infilo neppure in questo terreno anch'esso élitario. In psicologia, invece, l'horror vacui diventa "cenofobia", spesso ricondotta all'agorafobia ("paura della piazza"), ovvero l'angoscia nel trovarsi in spazi aperti o non familiari che non consentano di controllare la situazione. Ma anche qui siamo su di un terreno scivoloso per chi non abbia le giuste competenze. Per cui, centrando il ragionamento, segnalo come la "paura del vuoto" possa essere - anche senza assumere una connotazione patologica - una condizione legata all'insicurezza, ad un senso di fragilità, persino di abbandono, quando le proprie certezze vacillano e mancano rassicuranti punti di riferimento. E così l'horror vacui diventa la "Paura dell'ignoto". Mi sono convinto che questo aspetto sia una delle eredità più concrete del periodo di confinamento collettivo e degli strascichi di incertezza che ognuno di noi vive a diversi livelli e con gradienti che cambiano a seconda dei nostri caratteri e delle reazioni personali agli eventi che ci colpiscono. Confesso in particolare che oggi il mio horror vacui, pur sotto controllo, riguarda questa storia complessa e contraddittoria del "coronavirus" e del suo impatto nei mesi che verranno e questo vale per la sfera privata ma anche per quella collettiva, come cittadino. Investiti come siamo da una ridda di notizie varie, spesso contraddittorie, penso che tutti viviamo - lo ripeto, ciascuno con reazioni proprie - con un senso di attesa, priva purtroppo di ogni certezza e perciò si crea un'indeterminatezza che inquieta. Ho una sola sicurezza: bisogna essere pronti ai diversi scenari possibili, quelli brutti e quelli rassicuranti, ma avendo consapevolezza che vale un impegno personale e anche una pretesa. Quello personale è facile: comportarsi con prudenza e con le accortezze necessarie, non facendosi tentare né da chi minimizza e neppure da chi racconta balle sulle pandemia. Basta guardare al mondo intero e non solo al proprio territorio. La pretesa invece è che le autorità pubbliche, che ora non hanno alibi di fatti improvvisi che hanno cagionato scelte sbagliate o improvvisazione, ci guidino con mano ferma nel caso di ritorno del "covid-19" con un impegno più forte a fronte di fenomeni che siano un ritorno ai mesi vuoi. Sarà banale pretenderlo, ma non so allo stato se siano pronte le risposte necessarie in caso di necessità.