Bisogna cercare sempre di volare alto quando si discute di questioni istituzionali e per farlo bisogna creare ponti e non sollevare barriere. Esiste, in una piccola comunità, un problema di cultura politica, che obbliga ad elevare il livello senza trascinarsi in querelles e pettegolezzi che avvelenano la civile convivenza. E mi domando spesso come fare ad evitare certe paludi in cui siamo come imprigionati in questi tempi difficili. Certo, i contesti politici ed istituzionali cambiano nel tempo, ma bisogna sempre tendere l'orecchio a quanto ci arriva dal passato. Pensiamo a quel "Federalismo ed autonomie" di Émile Chanoux, che, dopo il suo assassinio nelle carceri fasciste, venne pubblicato per tramite di Franco Venturi fra i "Quaderni dell'Italia libera". Fu una delle basi di discussione della "Dichiarazione di Chivasso" del 1943, documento ben più federalista del più celebre "Manifesto di Ventotene".
Ma questo conta poco, conta semmai ricordare questa forza del pensiero chanousiano, ereditato dalle discussioni nella "Jeune Vallée d'Aoste" e trasfuso dal sui erede nel solco del pensiero federalista, Séverin Caveri, oscurato senza ragione malgrado la sua azione politica e la lucidità del pensiero. L'autonomismo - questa è la sostanza - non basta, se non si butta il cuore oltre l'ostacolo. E per questo senza il messaggio federalista resteremmo ancorati, come valdostani, in una logica di orizzonte pur sempre ristretto di in regionalismo stretto e sinora, purtroppo, octroyé e cioè concesso e come tale sempre a rischio di una revoca unilaterale da parte dello Stato. Ricordo che del federalismo come chiave dell'unità italiana si parla alla fine del Settecento durante le Repubbliche napoleoniche (protagonista anche il valdostano Guillaume Cerise), poi arriva l'unità italiana senza federalismo e durante il corso di tutta l'Italia liberale si discute di rendere meno rude il centralismo con forme di regionalismo che non arrivano ed i federalisti, anche valdostani, che predicano fra le due guerre mondiali vengono snobbati. Il fascismo ci mette una pietra sopra, mentre alla Costituente i federalisti perdono a favore dei regionalisti tiepidi. Una fiammella di federalismo resta nelle Autonomie speciali, mentre il regionalismo ordinario arriva solo nel 1970. Quando nel 1992 presentai la "Costituzione per un'Italia federale" vengo considerato un marziano. Poi la spinta leghista, una presa di coscienza sul tema anche della sinistra, la comparazione con il dibattito sul federalismo in Europa porta ad una riforma del regionalismo nel 2001 con legge costituzionale (io votai contro per la mancanza del principio pattizio dell'intesa sul nostro Statuto d'Autonomia), confermata dal voto popolare. Poi ci furono altre due riforme costituzionali bocciate, invece, al referendum confermativo, una berlusconiana nel 2006 e una renziana nel 2016. Oggi siamo in una fase di stallo, ma bisogna vigilare e restare coerenti con le proprie idee. Il federalismo Valle d'Aosta usato come base su cui costruire una cultura politica ed una buona Amministrazione locale, cercando in Italia e in Europa energie con cui fare sistema per il rilancio dell'Autonomia speciale, risollevandola da quella immagine negativa in cui è precipitata e riportandola a livelli di efficienza ormai perduti. Sapendo che un giorno la "rivoluzione federalista" avrà le sue chances e ricordando come il federalismo parte dall'idea di una composizione d'interessi che porta le comunità ad unirsi, in una logica di patto che prevede il rispetto reciproco e l'utilizzo di regole che consentono al più piccolo dei soggetti in campo di non essere vittima di soprusi. Spetta ad ogni generazione rigenerare la forza del federalismo, perché ogni cosa evolve e il dinamismo è elemento essenziale.
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