Ho percorso in queste ultime settimane una strada di ricostruzione rapida dell'Autonomia nei suoi diversi volti. L'ho fatto perché credo che sarebbe interessante che questo argomento fosse al centro del confronto politico in vista delle elezioni regionali. Così non sarà per molte ragioni e ne cito solo tre. La prima è banale: elezioni con una campagna elettorale che inizi nel cuore dell'estate sono una sciagura, essendo il comprensibile apice di distrazione per chi è in ferie e, in Valle d'Aosta, per quanti e sono molti lavorano nel settore turistico. La seconda è che il conclusivo periodo di campagna si affaccia su settembre, che inquieta, e basta la lettura dei quotidiani per vedere come i richiami al rischio della recrudescenza del "covid-19" non siano frutto di chissà quale pessimismo ma semmai di crudo realismo. La terza, cioè in sostanza che parlare di Autonomia sia in fondo un ripetitivo masticare temi obsoleti, è quella che più mi inquieta e su cui meno si riflette.
Nel corso di molti dialoghi avuti nelle schermaglie che hanno preceduto la formazione delle liste, oltre alla scoperta deludente di personaggi che mi parevano interessanti e si sono dimostrati poco affidabili e più vecchi del vecchio nei loro tatticismi politici ipocriti, mi sono imbattuto in un ex democristiano che mi ha spiegato che i valdostani non sono più e per nulla interessati all'Autonomia. La spiegazione non era molto lucida e disegnava anche l'immagine di un elettore medio non solo sempre più incarognito ma anche privo di qualunque strumento di comprensione della realtà, e lo diceva forse avendo come punto di riferimento e di confronto sé stesso e la propria incompetenza. Perché questo può essere un aspetto da rimarcare. Una prima disaffezione popolare verso l'autonomismo come espressione politica e verso l'Autonomia come ordinamento giuridico deriva dal fatto che appunto troppi decisori non hanno ben chiaro essi stessi quali siano le basi e le ragioni dell'Autonomia valdostana. Se sottoposti a banali quiz finirebbero per disvelare la scarsa conoscenza di quel percorso storico e di quel patrimonio ideale che ha portato al vigente Statuto di Autonomia, la cui banalizzazione deriva anzitutto dall'oblio della sua importanza da da parte di chi, avendo un ruolo elettivo, dovrebbe esserne il primo difensore e assertore. Molti di questi immemori sono anche i colpevoli della banalizzazione dell'Autonomia, che da strumento di autogoverno e di crescita di una comunità, è diventata una specie di feticcio buono per la propaganda e non purtroppo ragione di impegno quotidiano. Un progressivo svilimento che ha reso distanti e non più condivisi quegli aspetti ideali e le ragioni materiali che giustificano un regime differenziato, che se non adoperato bene o non adoperato affatto si secca come potrebbe avvenire con una pianta. E chi si spinge verso l'indipendentismo per spostare più in su l'asticella sembra, talvolta in buona fede, non capire il contesto in cui si dicono certe cose, di cui per altro sfuggono i riferimenti giuridici e sono perciò come palloncini colorati lanciati nel cielo. Ottenendo in sostanza lo stesso senso di smarrimento, quando si scopre l'abisso esistente in punta di logica fra il dire e il fare. Per cui resta l'Autonomia speciale come strumento rafforzabile nel presente credendoci attraverso leggi buone e coraggiose e con un'amministrazione originale e innovativa e usando come grimaldello per ampliare gli spazi le norme di attuazione dello Statuto e ciò è possibile. Ma il balzo in avanti, se si esce da certo scetticismo e disfattismo e ci si crede, è riprendere in modo forte e deciso il confronto con lo Stato per riaffermare che solo un nuovo Statuto può consentire di avere strumenti giuridici corrispondenti al mondo in cui viviamo. I silenzi sul punto dei parlamentari valdostani in carica (e nel caso della deputata "grillina" meglio così) suonano anch'essi come un'aria dei tempi.
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