«La televisiun la g'ha na forsa de leun la televisiun la g'ha paura de nisun la televisiun la t'endormenta cume un cuiun». Il grande Enzo Jannacci ci aveva visto giusto, ma non conosceva l'antidoto contro la noia televisiva. Si tratta del provocatore, insultatore, urlatore, guastatore. Una specie con alcune varianti che da anni spunta nei programmi, preso per la giacca dalle reti. Credo che l'inventore sia stato tanti anni fa Maurizio Costanzo, forse con il Vittorio Sgarbi d'allora, ed ha fatto scuola per attirare audience. Il Verbo è dilagato anche in radio ed oggi siamo pieno di programmi che fanno della maleducazione, delle parolacce, degli insulti la loro ragion d'essere. Ecco perché fa sorridere il clamore del caso più recente. Mi riferisco in diretta televisiva tra Mauro Corona e Bianca Berlinguer a "Cartabianca" su "Rai3".
Lo scrittore, ospite fisso della trasmissione, ha alzato la voce e rivolgendosi alla conduttrice ha detto: «Se mi vuole qui tutta la stagione, mi fa dire le cose. Altrimenti la mando in malora e me ne vado. Da stasera la trasmissione se la conduce da sola, gallina. Stia zitta, gallina!». Berlinguer ha quindi replicato: «Non posso accettare che lei diventi maleducato e sgradevole, insultandomi mentre conduco la trasmissione. Non si permetta di dirmi "gallina"». Corona era stato richiamato da Berlinguer perché stava nominando un albergo e la conduttrice lo ha invitato a non fare pubblicità. Stupisce Corona? No, perché nella già lunga collaborazione ha giocato la sua carta, quella per cui è stato pagato: fare il montanaro rozzo "scarpe grosse e cervello fino" dalla battuta pronta e la parlantina salace. L'ideale per fare audience, specie in una televisione di oggi dove emerge chi dimostra carattere, anche se in una logica borderline. Che sia chiaro però che non è l'archetipo del "montanaro" perché nessuno si veste come lui e ragiona come lui. Si tratta di un unicum interessante ma non rappresentativo del mondo alpino e della sua complessità. Questo è importante dirlo: chi ha studiato le Alpi, le sue popolazioni, il coacervo di culture con similitudini e diversità sa bene quanto sia importante sdoganare il "montanaro" (o meglio "i montanari" che sono una realtà plurale) dal rischio di essere catalogati come... il montanaro incolto e rozzo. Si tratta di stereotipi e come tali ci si mette poco a trasformare persone serie in una loro parodia, fatta di parole grosse, di fisicità esagerata, di buonsenso "un tanto al chilo" e via di questo passo. La colpa, se di colpa si dovesse parlare, non è di chi viene invitato e riprende temi talvolta pittoreschi, "sfondando" il video. Ha scritto sul "Il Foglio", Costantino della Gheradesca, immagino reagendo in modo satirico all'esagerato comportamento del bombastico Corona: «Mentre nel resto del mondo c'è chi sta riempiendo lavagne e computer di calcoli che un giorno ci permetteranno di vivere in stazioni orbitanti in cui coltivare e mangiare manghi e spinaci fottendocene della stagionalità, il pordenonese Mauro Corona ci ricorda che lui si lava solo una volta ogni due mesi. "Quando proprio esagero", confessava nel 2016 ai microfoni della "Zanzara", "una doccia al mese". Per tranquillizzare il suo ampio pubblico di focose lettrici, Corona rassicura che - nonostante il suo discutibile regime igienico - lui tiene sempre pulito "quel pezzettino lì, perché non si sa mai". E a quanto pare, come lui stesso ammette, questo stile di vita così ambientalista non deriva da una vocazione al risparmio, ma nasconde una motivazione più vezzosa: la volontà di proteggere il ph naturale della sua pelle. La rigida filosofia coroniana non risparmia nemmeno i vestiti. Questo acerrimo avversario del sapone, infatti, considera un'esagerazione cambiarsi le mutande ogni giorno: "Le tengo una settimana, a volta qualche giorno in più. Poi le cambio, a una certa età ci sono delle gocce che scappano". Ma per distrarci dallo spettacolo della sua incontinenza senile, Corona ci tiene a vantare una sua dote superumana: la sua incapacità di sudare, ragione per cui non ha bisogno di cambiarsi i calzini come noi poveri mortali: "Non sudo, non c'è odore, li tengo anche venti giorni". E, forte delle sue virtuosissime ghiandole sudoripare, Corona invita il popolo dei suoi adepti a sottoporlo a un test incontrovertibile: "Se volete facciamo una prova in pubblico, con la gente che mi annusa. Io non sudo"». Corona è Corona. Poi, per carità, se fa audience è buon per lui e per il suo avvenuto riscatto umano e sociale, ma è altra cosa dal rischio di avere anche la sola idea che il montanaro di ieri e di oggi fosse e sia davvero come lui. Ha scritto in queste ore il mio amico montanaro Mariano Allocco: «Chi decide chi è l'intruso? A chi è funzionale lo stereotipo del montanaro incolto, rozzo e maleducato? Perché è sempre di moda questa rappresentazione? Guardo le vecchie fotografie di famiglia, tutto trasmettono meno che quell'immagine. Persone fiere, sia negli abiti della festa che in quelli da lavoro. C'è della sostanza, della storia, del vissuto, del pensato, c'è un mondo in quelle fotografie di montanari, un mondo che ho visto e vissuto. In esse, in trasparenza, si legge la storia antica di genti che con orgoglio hanno popolato, vissuto e rese stupende le vallate alpine. Non c'è folclore né posa, c'è libertà, fierezza, cultura, lavoro, voglia di vivere e determinazione. C'è il bagaglio di un vissuto di coloro che sul Monte "vivevano a luogo, fuoco e catena e vi facevano la Pasqua" e del Monte hanno fatto un giardino stupendo. Questo fino al grande esodo del dopoguerra che ha concluso il prosciugamento delle Alpi, quando migliaia di aziende alpine sono state volutamente lasciate fallire per alimentare l'industrializzazione della pianura padana, il bilancio economico e sociale di questo esodo rimane da fare. A tutto questo era funzionale lo stereotipo del montanaro incolto e primitivo che dal neolitico scendeva verso la civiltà. Questa storia è finita però, pochi hanno capito che l'anello debole è la città, questo modello di inurbamento è durato due secoli e ora è al capolinea. Per qualcuno però bisogna ancora grattare il fondo del barile e allora questo mito non deve finire, allora conviene fare in modo che questa farsa continui, allora bisogna continuare a riproporre miti e ritualità. Allora servono sacerdoti officianti che sappiano recitare la parte in commedia, facile trovarli, il modo è semplice. In questa sceneggiatura ritrovo evidenti tracce di un rapporto coloniale nei confronti del monte. Se si pone la centralità sull'ambiente serve qualcuno che dica "Vogliamo capire o no che siamo noi gli intrusi?". Se la centralità è sull'uomo che l'ambiente vive è più difficile trovare modi e potenza per affermarlo. Interesse di tutti un confronto tra le due parti, non ci sono alternative. L'immagine di Mauro Corona, eletto a moderno maître à penser, al confronto di quella di un montanaro, mio nonno, classe 1886, boscaiolo e bottaio, credo renda l'idea di quanto siano lontani due mondi che stanno perdendosi di vista. Meglio sicuramente queste due foto che non tante parole e scritti».