Sembra quasi una beffa che, nell'approssimarsi dei vent'anni di una terribile e distruttiva inondazione, ci sia stata in queste ore - come una sorta di ammonimento - l'ondata di maltempo che ha fatto danni ed ha creato paure in Valle d'Aosta, oltre alla morte che addolora di Rinaldo Challancin di Arnad al lavoro come Vigile del fuoco volontario. Ma non ci deve stupire quanto accaduto. Le cronache annotate dai nostri parroci nei secoli, prima che nascessero i giornali con le loro notizie e la scienza con le sue annotazioni, confermano come i rischi in montagna derivanti da fenomeni naturali distruttivi esistano da sempre e abbiano sempre colpito paesi e persone. Stare sul "chi vive" ed essere pronti è sempre una buona regola e lo ripeteremo anche in televisione in un programma su "Rai Vd'A" che rievocherà in diverse puntate i fatti dolorosi dell'ottobre del 2000, di cui fui testimone privilegiato come deputato valdostano.
Vissi dapprima a casa mia - in una frazione di Saint-Vincent che venne in parte evacuata - quelle ore con i miei bambini piccoli da rassicurare e poi visitai con viva costernazione quei luoghi, come Pollein, Cogne, Fénis, Gressoney-Saint-Jean e altri, dove la furia distruttiva delle acque aveva colpito con violenza. Ricordo sempre, come un'immagine di speranza e pure di commozione, a qualche ora dalla terribile inondazione, il sole che usci dalle nubi ed illuminò con i suoi raggi in una Nus in ginocchio una folla di persone di tutte le età, con le pale in mano, che toglievano il fango come formiche operose, senza rassegnarsi al dolore ed alla desolazione. All'epoca ognuno fece il suo dovere, nel mio caso a Montecitorio fu la faticosa ricerca dei finanziamenti attraverso ordinanze e decreti legge per arginare i danni degli eventi. Oggi, sul filo della memoria, si aggiungono a questa attività i momenti più intimi di conforto alle persone disperate per quello sconvolgimento operato dalla Natura. Momenti che arricchiscono umanamente. Seguirono - e me ne occupai - i lavori per ricostruire e la pianificazione territoriale, che necessitano ancora oggi serie riflessioni ed il completamento di azioni di prevenzione a protezione di certe zone a rischio, e sappiamo bene quante zone rosse ci siano sulle mappe dei nostri Comuni. Ma questo non basta: da allora è cresciuta la consapevolezza su come certe sciagure si inquadrino in un dibattito mondiale sui cambiamenti climatici, che impattano su zone montane già soggette nei millenni, come dicevo, alle modificazioni e alla rudezza della condizioni ambientali. Non dimenticare non è solo un dovere per i drammi consumati, ma perché la vigilanza non è per nulla banale. Ricordo quando presentai nel 2012 al "Comitato delle Regioni" un rapporto sull'impatto del riscaldamento globale sulle Alpi, scritto con il celebre esperto in materia Luca Mercalli. Documento che resta un caposaldo per segnalare la necessità di politiche serie. Fra i punti emergeva la certezza di un incremento del rischio idrogeologico (alluvioni, frane) ed un aumento della vulnerabilità delle persone e delle infrastrutture. Denunciavamo già allora la mancanza di una volontà politica seria, specie a livello mondiale, per contrastare il futuro aumento della temperatura globale, che sta ingenerando da noi come dappertutto quei cambiamenti climatici con fenomeni meteorologici estremi che hanno un impatto sulle attività umane. Lo si vede ad occhio nudo con i nostri ghiacciai che si squagliano, le montagne che si sgretolano, il bosco che impazza e quei fenomeni meteo estremi che aumentano di forza e di cadenza. Per questo a Bruxelles, assieme a Mercalli, offrimmo un vasto decalogo sul da farsi, compresa «la predisposizione di programmi di Protezione civile e prevenzione del rischio climatico, attraverso infrastrutture, sistemi di previsione e di allerta meteo-idrologici con scambio rapido di informazioni con il pubblico ed esercitazioni per la prevenzione dei danni e il salvataggio delle persone». Bisogna rifletterci e continuare a lavorare su tutto ciò!