Faccio un post su "Twitter", dicendo che moralmente mi sentivo partecipe della manifestazione pubblica che a Parigi ha ricordato la morte di Samuel Paty, povero professore francese ucciso e decapitato da un diciottenne ceceno islamista. Mi risponde una donna indignata: «Non capisco perché si debba sottolineare di che religione sia... Che con la religione non ha niente che fare... Non si sente mai arrestato mafioso di religione cristiana ortodossa che sia... tutto per aumentare odio. Vivi e lascia vivere ma col massimo rispetto verso tutti e tutto». Roba da non credere! Islamico ed islamista hanno una bella differenza semantica e resta la circostanza, evidente per chiunque, ma non per la mia interlocutrice, che Abdoullakh Abuyezidvich Anzorov, accolto in Francia con lo status di rifugiato dalla Russia, ha decapitato il professore con un coltello gridando «Allahu Akhbar!»...
Le immagini dell'insegnante decapitato sono poi state postate sul profilo "Twitter" dell'aggressore con un messaggio di rivendicazione: «Allah, ho ucciso un cane dell'Inferno che ha osato infangare il tuo nome». Altro che «Vivi e lascia vivere»! Lo ha ucciso nel nome del suo Dio ed omettere il particolare sarebbe stato ridicolo e fuorviante!
Samuel Paty, la vittima, era un professore di storia alle scuole medie che nei giorni scorsi aveva tenuto in una classe una lezione sulla libertà d'espressione e per questo aveva mostrato agli studenti le vignette di Maometto pubblicate da "Charlie Hebdo" in occasione del processo contro i responsabili della strage del 7 gennaio 2015. La lezione del professore aveva suscitato le proteste dei genitori arabi di alcuni studenti, tra cui il padre di un'alunna che aveva contestato Paty «per diffusione di immagini pornografiche».
Poi il caso era stato montato sul Web ed il professore aveva cominciato ad avere paura di questa marea montante originata da chi vive l'islamismo nelle sue forme estreme e considera noi occidentali come infedeli degni di scomparire dalla faccia della terra. Il resto è buonismo d'accatto.
Il paradosso è che i ceceni, come i bosniaci, sono stati giustamente protetti dall'Occidente e accolti con il diritto d'asilo nel nome delle nostre Costituzioni perché perseguitati e poi si scopre che troppi sono diventati fedeli e feroci esecutori della "jihad", la guerra santa.
Per questo resto convinto che, contro questo abominio non basti la prevenzione e la repressione, ma ci sia un ruolo capitale delle comunità islamiche in Europa, più o meno grandi nei diversi Paesi, che devono togliere ogni acqua ai pescecani che avvelenano rapporti di correttezza e di comprensione reciproca. A prese di posizione di maniera contro gli islamisti feroci e assassini, si devono accompagnare collaborazione vera con le autorità e chiusura di tutte le porte per chi vuole uccidere e fantastica di instaurare da noi una dittatura religiosa. Non è una chiamata in correo indiscriminata, ma conta il fatto - ad esempio - che gli amici dei criminali, anche solo per l'esaltazione di azioni folli, non entrino più in una moschea. Sapendo che ci sono moschee - pensiamo appunto ai salafisti anche in Italia - dove la predicazione antioccidentale è la regola.
Altrimenti, senza queste elementari misure, vinceranno gli estremisti antimusulmani, in una escalation di incomprensioni che non porterà a nulla di buono e renderà inutile ogni sforzo di serrare le fila - gli uni e gli altri - contro chi vuole insanguinare il mondo. Il rischio è enorme in una situazione mondiale già piena di focolai di guerra, in cui basta poco a peggiorare situazioni già delicate e bisogna aiutare chi vuole spegnere gli incendi e non chi li voglia appiccarlo nel nome di un Dio.
Restano la normalità contro l'aberrazione, la solidarietà contro l'odio, la vita contro la morte, il coraggio contro la paura, la ragionevolezza contro la stupidità di chi fra noi neppure capisce la posta in gioco e scambia per delinquenza comune questo fenomeno d'ispirazione religiosa da descrivere per quello che è.