Donald Trump viene sospeso dai "social", cominciando dal suo amatissimo "Twitter" con cui da anni gioca con una messaggistica rozza ed elementare. In molti, da destra come da sinistra, gridano all'attentato alla libertà di espressione. Francamente, per quanto capisca certe preoccupazioni, non condivido che si possa fare del Presidente degli Stati Uniti una sorta di vittima da sostenere e compatire. Si può anzitutto discutere se sia ancora e davvero l'uomo più potente del mondo e penso francamente che ancora lo sia, anche se per fortuna pro tempore nel caso di Trump e la pulizia l'hanno fatto gli elettori. Per questo ha avuto una potenza di fuoco mediatico straordinario. Se un Presidente americano indice una conferenza stampa ha la possibilità con un batter di ciglia di far transitare in tutto il mondo il suo punto di vista.
Capisco però il fascino del legame diretto di strumenti come i "social" che senza mediazioni consentono di fare arrivare i messaggi anche con strategie precise, non gestite ovviamente di persona, ma che - come fa con grande astuzia dello staff di Matteo Salvini, solo per fare un esempio - fanno parte di aggressivi gruppi di esperti che sanno come colpire e fidelizzare. Può essere che il ciuffo più famoso del mondo ogni tanto spari persino proiettili suoi e non solo dei suoi collaboratori, ma il punto, alla fine, è se nei suoi scritti violi o meno elementari obblighi derivanti dall'appartenenza a comunità. Facciamo dunque un passo indietro, come ricorda Biagio Simonetta sul "Sole-24 ore": «Se Donald Trump è stato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America, un pezzetto di merito lo deve ai social network. Mentre tutti i sondaggi lo davano spacciato (nei confronti della candidata democratica, Hillary Clinton), Trump vinceva a mani basse ogni duello sui social. Ed è lì che il tycoon ha creato una macchina di consenso incredibile. Andando a scavare nel disagio e nel malcontento dell'America più nazionalista, quella del suprematismo bianco, dei sobborghi e dell'entroterra, del sentimento anti-cinese, dell'orgoglio a stelle e strisce trasformato in odio verso lo straniero. Una strategia che ha portato il tycoon alla Casa Bianca e l'America verso un equilibrio sociale molto precario. Poi Trump ha continuato ad usare i social come canali ufficiali di comunicazione, stravolgendo le vecchie regole. Spesso un tweet del presidente ha mandato in orbita (o all'inferno) i listini di Wall Street. "Make American Great Again" e "American first" sono stati i due messaggi più postati, quasi ossessivamente, da Trump in questi anni. Un cocktail di pericoloso populismo che negli ultimi mesi ha cominciato ha cominciato a scricchiolare. Il 26 maggio 2020, Twitter segnala per la prima volta come fuorviante un tweet del Presidente Trump. E' un post sul voto postale, col tycoon che parla di esito falsato. Da quel giorno, il social network di Dorsey interviene più volte sui contenuti twittati dall'account presidenziale. E lo stesso fa "Facebook", conscio che elezioni americane (quelle poi vinte da Joe Biden a novembre) rischiano di essere travolte dalle fake news. Oggi che quelle elezioni sono passate, i "social" intervengono per silenziare messaggi che rischiano di alimentare l'odio. Un odio che per anni si è sedimentato, fino a diventare rabbia, proprio sulle stesse piattaforme». Questo odio è cresciuto in campagna elettorale ed ha raggiunto il suo acme dopo la sconfitta, prima mascherata da "elezione truffa" con brogli elettorali e poi svoltata in un'informazione alla ribellione fino all'irruzione violenta a Capitol Hill, scrigno della democrazia americana. Ecco perché non me la sento ora di piangere lacrime che sarebbero di coccodrillo di chi ha surfato sui "social" con crescente successo sino a violare scientemente regole chiare per chi ci entri. Ha ragione Massimo Mantellini sul "Post" quando dice: «Donald Trump su "Twitter" o su "Facebook" è un semplice cittadino. Come ogni altro cittadino ha aperto un profilo volontariamente, ne ha sottoscritto senza leggerli i termini di servizio, non ha pagato un dollaro per accedere alla piattaforma. La differenza fra Donald Trump e un semplice cittadino nel momento in cui si viene allontanati sono, da questo punto di vista, trascurabili. (...) Una volta cacciato da un social network Trump o chiunque altro, potrà iscriversi ad un altro social network. Se nessun social network li vorrà più potranno costruirsene uno proprio. Si chiama Internet, non c'è stato fino ad ora bisogno di permessi da parte di nessuno per esserci. Non è fantastico?». Concordo a pieno.