L'interrogativo è interessante: si può essere di lotta e di governo? E' un vecchio tema, che penso diventerà ben presente con il Governo Draghi, visto che la maggioranza che lo regge è multicolore e questo significa, in soldoni, visioni diverse su problemi cruciali. Quando lentamente svanirà la nebbia della retorica, lo scenario mostrerà queste differenze e la tentazione sarà quella del doppio binario appena evocato: essere di lotta, cavalcando temi delicati in contrapposizione con la maggioranza della propria maggioranza, ed essere di governo, cioè farlo senza andarsene rallentando tutto ed avvelenando il clima. Ha scritto Paolo Pombeni sul sito "mentepolitica" per inquadrare il tema: «Lo stereotipo del partito di lotta e di governo viene fatto risalire agli anni Settanta e alla leadership di Berlinguer che voleva avvicinare quantomeno il PCI all'area governativa senza che questo mettesse in crisi la sua immagine di formazione in lotta contro il "sistema"».
«In verità - prosegue Pombeni - si tratta di quello che una volta si chiamava "doppiezza" comunista: ai tempi della fondazione del sistema repubblicano e dei governi di larga coalizione, quando Togliatti voleva l'accordo con la DC senza rinunciare al controllo delle proteste di piazza. Si potrebbe risalire ancora più indietro, per esempio alla partecipazione del partito comunista francese ai governi del Fronte Popolare nel 1936, perché sempre si presenta a sinistra il tema di come far convivere la spinta a qualche radicalismo rivoluzionario con la necessità di praticare qualche forma di gradualismo una volta che si entri nella famosa stanza dei bottoni». Ho visto spesso nella mia esperienza politica questo atteggiamento ambiguo, che nasce sempre da una necessità: mantenere attaccato il proprio elettorato e dunque i patti di governo - con cui da sempre si smussano gli angoli per formare le maggioranze - diventano occasione per allungare o accorciare la coperta. Così le discussioni diventano infinite, talvolta su punti francamente inconsistenti, e nei momenti topici, specie chi non riesce ad affermare la bontà delle proprie posizioni, ricorre alla piazza, ai comitati strumentali, ai sindacati amici, alla famosa ed interpretabile "opinione pubblica". Eppure resto convinto che di questi tempi questi giochi e giochetti alla fine non portino bene. Al di là di qualunque posizione per lisciare il pelo dei propri elettori, sarebbe utile oggi non troppo cincischiare su questioni ultronee rispetto al nocciolo della situazione attuale. Infatti resta chiaro ed evidente come ci si debba concentrare - e non vuol dire affatto non essere prospettici rispetto al futuro che comunque verrà - sull'emergenza sanitaria e le sue plurime ricadute. Questa situazione è una guerra, fatta da singole battaglie, che obbligano a concentrare risorse, energie e buone idee. Si tratta per tutti di fare uno sforzo corale che obbliga ad essere di governo e smettere la sordina a chi vuole, in contemporanea, giocare la partita della lotta per compiacere i suoi e per quei motivi ideologici che sono il cancro del dibattito politico. Con buona pace dei muli, usati per descrivere la cocciutaggine, chi ragiona per partito preso e non ascolta gli altri, fermo su posizioni ferree e mai negoziabili, alla fine si dimostra un nemico della democrazia e della buona politica, che obbliga a trovare accordi, compromessi e formule per avanzare e non per stare fermi sulle proprie posizioni.