Rullo di tamburi, come si conviene, ma senza troppa prosopopea, per cortesia. Oggi inizierà il "Festival di Sanremo" nella sua versione pandemica ed è significativo come sulla scelta ci siano opposti estremismi. Chi magnifica l'idea di mantenere un appuntamento che profuma di normalità e dunque ci riporta a qualche automatismo di stagione. C'è chi si chiede all'opposto se, in un'Italia avviata purtroppo sulla strada delle chiusure e dei confinamenti, fosse il caso di tenere aperto il circo dell'Ariston senza pubblico ma con la pandemia fuori dalle sue porte. Ma si sa che esistono vasti interessi e la "Rai" fa ovviamente i suoi di interessi per la pubblicità che fiocca, mentre il deserto caratterizzerà la Riviera di Ponente, già in zona rossa. Una parentesi serve: voglio ed agogno una qualunque forma di normalità. Ne ho le scatole piene di regole che trovo in certi casi astruse, anche se le rispetto e so bene che con il virus non si scherza, perché altrimenti si fa il suo gioco.
Dunque non gioco nella squadra dei negazionisti, dei complottisti e dei cretini, tuttavia mi piacerebbe resettare molte decisioni ormai stratificate per capire bene cosa fare. Ho detto e ridetto che adoperare stesse modalità dappertutto e senza filtri rispetto alle singole situazioni è abnorme. Ci vorrebbe una griglia in cui i decisori locali possano adeguare il quadro generale ad ogni particolarità. Certo, può essere necessario evitare abusi o scivoloni, ma rendere tutto uguale non è eguaglianza ma miopia. Ciò detto, il "Festival di Sanremo" l'avrei saltato a piè pari, sembrandomi per gli italiani stanchi e stressati, il ricorso ad una forma moderna di "panem et circenses", che pure ci toccherà seguire in qualche serata per annusare l'aria, ma il clima generale spingerebbe a farne a meno. Capisco lo svago, apprezzo la distrazione, considero il mondo della canzone un'espressione culturale, ma trovo che - esattamente come la riapertura dei cinema e dei teatri - certe scelte dovrebbero avvenire in un contesto di logica e non di calcolo per essere piacioni. Perché non consentire ristoranti la sera e considerare gli impianti a fune come sede di contagio senza "se" e senza "ma"? Ora che è stato nominato il Generale Francesco Paolo Figliuolo come nuovo Commissario straordinario per l'emergenza "covid-19" al posto dell'impresentabile ed arruffone Domenico Arcuri auguriamoci che torni una serietà, garantita dal fatto che sia un alpino e dunque concreto e conoscitore delle montagne. Venne tra l'altro a inaugurare ad Aosta l'ospedale da campo per il "covid-19". Questo significa nel suo "Dna" decisioni vere, che migliorino la situazione e facciano tornare fiducia e speranza e che alcune operazioni, come la distribuzione dei vaccini, ci facciano tirare un sospiro di sollievo. Ma intanto torna Sanremo, simile alla primula dei gazebi di Arcuri, perché come scriveva anni fa il "The Economist": "Non si capisce proprio perché gli italiani sono così pazzi di un festival che sta al confine con la Francia. I contendenti sono per la maggior parte giovani speranze più alcune vecchie glorie al crepuscolo della carriera. La vera attrazione del Festival è la nostalgia. Sanremo ricorda alla gente la felicità e la spensieratezza di un'Italia che non c'è più e, in giorni di onnipresenti rap importati e rock che pulsano nei locali, molti italiani lo trovano rassicurante. E' l'annuale ritorno all'innocenza infantile". Compreso Amadeus, erede di una generazione di presentatori, che ha ingaggiato - nel solco del familismo italico - la moglie.