Ci sono tradizioni familiari che nascono per caso e poi diventano gioiosamente ripetitive. Penso a quanto capiterà domattina a casa mia: si raccolgono le uova di Pasqua di cioccolato e si fa colazione - come dire? - esageratamente. Mi e già capitato di riflettere come proprio il cioccolato sia un esempio illuminante, per chi crede di chiudersi nel suo guscio (per restare all'uovo...), di che cosa sia la contaminazione culturale. L'albero del cacao, cresce nelle zone tropicali dell'America Centrale, del Sud America Settentrionale, dell'Africa Occidentale e Centrale e del Sud Est Asiatico. Solo un fiore su cento diventa frutto. La più antica piantagione di cacao risale al 600 d.C. ad opera delle popolazioni Maya che lo usavano pure come forma di pagamento che come unità di calcolo, oltreché che per una bevanda amarissima. Con la scoperta dell'America i semi di cacao arrivano in Europa.
Negli anni successivi alla bevanda viene aggiunto lo zucchero per addolcirlo e comincia la sua diffusione tra l'aristocrazia spagnola. La bevanda viene servita calda ed aromatizzata con vaniglia e cannella. Nel 1615 il cioccolato arriva in Francia e diventa di moda, da qui si diffonde in Belgio, Germania e Svizzera e successivamente in Austria ed Italia. Nel 1828 Coenraad Johannes Van Houten, un fabbricante olandese, inventa una macchina per la spremitura dei semi di cacao per estrarne il burro di cacao. Il risultato è una bevanda molto fluida e dal sapore gradevole. Il cioccolato al latte nasce nel 1875 ad opera dello svizzero Daniel Peter che aggiunge al cioccolato il latte condensato. Nel 1879 lo svizzero Rudolph Lindt inventa il cioccolato fondente grazie alla scoperta di un metodo detto raffinazione nelle conche. La sostanza si è evoluta e ne godiamo con la presunzione che le Alpi abbiano concorso al cambiamento. E l'uovo, antico simbolo di fecondità? Si racconta che tale vedova Giambone, titolare di una cioccolateria nell'attuale centralissima via Roma di Torino abbia avuto l'idea, attorno al 1725, di presentare ai suoi nipotini un cestino pieno di paglia e uova di cacao ottenute riempiendo i gusci vuoti delle uova di gallina con cioccolato liquido e miele. Divenne poi prodotto commerciale nella sua bottega e le neonate uova di Pasqua ebbero talmente tanto successo che man mano diventarono una tradizione destinata ad espandersi a macchia d'olio in tutto il mondo. Torino, del resto, fu la prima città d'Italia in cui arrivò il cioccolato nel '500 portato dalla spagnola duchessa Caterina, moglie del duca Emanuele Filiberto di Savoia, dopo la scoperta dell'America. Sempre a Torino ad inizio '900 venne brevettata la produzione seriale delle uova di Pasqua di cioccolato grazie ai pasticceri di Casa Sartorio che idearono uno stampo a cerniera chiuso che, messo in un'apposita macchina capace di ruotare velocemente, poteva distribuire il cioccolato uniformemente creando due mezze uova complementari che, una volta raffreddate, potevano essere decorate a piacere prima di essere assemblate creando il vero e proprio uovo di Pasqua. Questo consentiva anche di inserire nell'uovo una sorpresa, usanza che si diffuse molto velocemente fino al boom dal dopoguerra in poi. La sorpresa mi riporta allo stupore dell'infanzia. La parola "sorpresa" (dal francese "surprendre, cogliere inaspettatamente" e quindi "meravigliare") sorprende! E' infatti una parola come un Giano bifronte, per cui si può fare una sorpresa e la si può ricevere e ormai mi pare che la usiamo più nelle accezioni positive che in quelle negative (la triste "brutta sorpresa"). Su "Express Style" Violaine Binet sulla sorpresa positiva ha riassunto: «Emotion fugace, la surprise - quand elle est bonne - a pourtant bien des vertus, car le cerveau et le corps y réagissent en déclenchant une sensation de bonheur». Se poi ci aggiungi la serotinina del cioccolato (2,9 microgrammi per grammo) l'iniezione di buonumore è certa. L'alibi per la scorpacciata è tracciato.