Questa storia dei vaccini è fatta da un via vai mutevole di notizie più o meno allarmistiche sul loro utilizzo, così come per via dei cambiamenti improvvisi negli impieghi per fasce di età con Stati che bandiscono persino alcuni prodotti. Tutto ciò sta creando un gran fermento ed alimenta scetticismo e rifiuti vaccinali. Si dice «cautela» e si aggiunge «prevenzione» anche di fronte a fenomeni statisticamente sporadici ed immagino che l'unico appiglio giuridico sia l'uso di uno strumento imperfetto, usato nel nel diritto ambientale, che è così declinabile: "Il principio di precauzione può essere invocato quando è necessario un intervento urgente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale, ovvero per la protezione dell'ambiente nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio".
Trovo un testo interessante, quasi profetico rifacendosi al 2014, quando non si poteva pensare a questo "causa/effetto" fra pandemia e vaccini, che pongono di fronte l'antico tema delle malattie infettive e la modernità fatta di tecnologie vaccinali che dovrebbero essere sempre più performanti. Osservava infatti Carlo Iannello in una pubblicazione "Frontiere Mobili -Implicazioni etiche della ricerca biotecnologica" (edizioni Mimesis): «Da alcuni anni, infatti, gli studi in campo sociologico stanno ponendo all'attenzione della comunità scientifica la centralità che le questioni legate al rischio hanno progressivamente assunto nella società contemporanea. Sempre più forte e diffusa è la percezione che la fase che sta vivendo la nostra società, che siamo abituati a definire post-moderna, si caratterizzi anche come "società del rischio", in cui il governo della cosa pubblica si deve confrontare con rischi sino a poco tempo addietro inediti, per cui si rende necessario utilizzare sempre più spesso procedure emergenziali, che nello stato di diritto sono pensate per circostanze eccezionali, quindi destinate ad operare in via assolutamente transitoria, proprio in quanto ai limiti della legalità costituzionale. Di conseguenza si sta modificando la relazione tra il diritto e la scienza stessa, e si sta imponendo l'aggiornamento degli strumenti con cui l'ordinamento giuridico governa le applicazioni tecnologiche». Già questo tema ci ricollega a questioni delicatissime sullo stato di eccezione, ma nel proseguire l'autore situa ulteriormente il problema: «Questa seconda modernità determinerebbe il passaggio da una società distributrice di ricchezza a una società dispensatrice di rischi. La società del rischio "è una società catastrofica". L'ordinamento giuridico deve fornire una risposta ordinaria al bisogno di proteggersi dalle nuove catastrofi, che non sono più eventi che possono considerarsi eccezionali. Nella società del rischio, infatti, "lo stato di emergenza minaccia di diventare la norma". Ciò comporta la necessità di riorganizzare le procedure giuridiche e le competenze da sempre istituite intorno al paradigma dell'eccezionalità dei poteri straordinari». Ma poi si arriva al principio di precauzione, evocato all'inizio: «"Principio di precauzione" e "metodo precauzionale" sono così divenuti gli strumenti giuridici per il governo del rischio. Occorre tuttavia cercare di comprendere come mai il principio in esame, divenuto oramai uno strumento "ordinario" per la gestione e il governo del rischio, nonostante il suo largo e crescente uso, presenti contorni ancora molto confusi, se non addirittura contraddittori. Questa perdurante indeterminatezza del concetto emerge con particolare evidenza sia dall'interpretazione dottrinale, sia dalle polemiche in sede politico-culturale, sia, infine, dagli stessi testi normativi che lo positivizzano. Partendo da quest'ultimo aspetto, si deve in primo luogo osservare che il "principio di precauzione" è nato attraverso una pluralità di positivizzazioni dal contenuto eterogeno. Secondo le diverse sedi in cui è stato preso in considerazione, infatti, esso ha assunto differenti declinazioni e un diverso grado di cogenza. Un precetto di moral suasion rivolto agli Stati, se contenuto negli atti internazionali di principio, come ad esempio la dichiarazione di Rio del 1992. Parametro giuridico sufficientemente elastico rivolto agli organi detentori dei poteri di indirizzo politico dei singoli Stati, quando è previsto nelle disposizioni costituzionali o nei trattati istitutivi di organizzazioni sovranazionali, come l'Unione europea. Precisa regola di condotta, se cristallizzata in accordi internazionali (si pensi a quelli relativi all'organizzazione mondiale del commercio), direttive e regolamenti europei o leggi dello Stato che si occupano dei settori strettamente coinvolti da questo principio, come ad esempio la commercializzazione o la immissione nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. Principio che guida l'azione dei giudici o dell'amministrazione pubblica, se codificato in fonti del diritto riconosciute dall'ordinamento interno. In quest'ultimo caso esso si traduce in concreto in una decisione (amministrativa o giurisdizionale), con efficacia vincolante, che segue gli ordinari principi del diritto pubblico interno. Inoltre, lo stesso significato che in concreto assume il detto principio può assumere diverse declinazioni, tanto che si discorre di una "versione minimale" o debole e di una "versione verde" o forte della precauzione. Per quanto attiene all'ambito politico-culturale, da un lato, vi è chi invoca un eccesso di precauzione, ossia un uso estremamente largo di questo principio (lamentandone quindi un abuso), che metterebbe a rischio attività umane necessarie alla vita collettiva, evidenziandone una natura antiscientista; dall'altro, al contrario, se ne lamenta sia una scarsa applicazione che una debole precettività». Insomma, una tematica complessa e ancora in parte inesplorata, ma se si guarda a certi stop bruschi sui vaccini e loro diversificato utilizzo in tempi rapidi, a fronte di pericoli infinitesimali nel rapporto rispetto al complesso dei benefici, vien da chiedersi se la famosa cautela venga sempre esercitata con il necessario buonsenso.