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28 apr 2021

La soglia di attenzione

di Luciano Caveri

Sono molto indeciso. Da molti anni annoto miei pensieri in questo spazio e, al di là dei numeri verificabili dai sistemi di conteggio che dimostrano un buon seguito, incontro tante persone che mi incoraggiano con il sostegno della loro affezione. Visto lo sforzo di dare continuità a questo mio esercizio, sono dunque contento che questa sorta di diario non sia solo un cimento per me, ma risulti, grazie al rapporto diretto via Web, interessante anche per chi mi legge e con cui il molti casi si è creato un rapporto di vicinanza. Con miei pensieri, che siano condivisibili o meno conta relativamente, mi metto in gioco senza filtri e mi tengo mentalmente allenato. Ecco, però, la ragione della mia indecisione. Chi cercasse qui nel motore di ricerca l'evoluzione negli anni noterà che alla brevità degli articoletti dei primi tempi, in sostanza ereditata da annotazioni e pensieri scritti per un certo tempo su "La Vallée Notizie" e poi sul "Peuple Valdôtain" (cui si sommava presenza su radio locali che penso perdura per sempre), ha seguito un cambio di marcia. La versione attuale, infatti, prevede un post quotidiano abbastanza lungo e come tale ovviamente più impegnativo.

Qualche amico, scherzosamente, mi ha detto che dovrei riassumerlo in poche righe per rendere la lettura più rapida e forse agevole. Credo che la questione vada presa sul serio, al di là della battuta e dimostra un'evoluzione in corso da non sottostimare. Il tema concerne un'ovvietà e cioè la constatazione che i tempi di attenzione sono cambiati. Lo si constata, per chi fa politica come per chi fa lezione, già nell'oralità. Una volta si poteva contare su tempi più lunghi nella concentrazione di un pubblico, che fosse composto di cittadini nel corso di un comizio politico o di studenti in un'aula di scuola. Non a caso, per rafforzare il pensiero, gli spot radiofonici o televisivi duravano nel passato dei minuti, mentre oggi i messaggi sono accorciati e proposti in una manciata di secondi. In sostanza: l'attenzione è un bene sempre più prezioso e sembra che la sua durata sia in calo assieme ai processi conseguenti di comprensione. Insomma: devo asciugare i miei pensieri? Devo assecondare questa necessità di brevità e anche di semplificazione? Corro il rischio, andando lungo, di respingere persone che hanno ormai l'abitudine a contenuti rapidi? Leggevo sul "Corriere della Sera" un lettore che chiedeva lumi nelle lettere al giornale ad Aldo Cazzullo sul tema. Eccone uno stralcio: «l'uso del web causa una progressiva difficoltà a mantenere a lungo la concentrazione su letture di una certa lunghezza. Forse proprio il salto continuo da un'informazione all'altra, tipico della navigazione in rete, potrebbe modificare la nostra struttura cerebrale. E venendo così meno una lettura più riflessiva, si corre il rischio che la conoscenza sia sempre meno approfondita. Finiremo per leggere "I Promessi Sposi" in sette minuti?». Cazzullo in risposta: «la Rete ci sta cambiando nel profondo. Perché cambia totalmente il nostro modo di comunicare, di apprendere, di passare il tempo libero. E' impressionante come la generazione della Rete - non solo i nativi digitali, ma anche i nostri figli ventenni, che hanno imparato a leggere e a scrivere prima che a usare i tablet e gli smartphone - sia abituata a un ritmo sincopato, frenetico, continuamente interrotto. Avvezza ai filmati su "Youtube", che durano di solito pochi secondi, si annoia profondamente di fronte a film che noi avevamo trovato avvincenti. Solo che un film dura due ore; una partita di calcio novanta minuti; un video su "Instagram" al massimo 59 secondi. Non a caso i ragazzi preferiscono gli highlights - le fasi salienti, si diceva una volta - sul cellulare, anziché seguire in diretta un match sullo schermo. La Rete prende tutto quello che l'uomo ha scritto, filmato, composto, pensato in questi secoli, lo fa a pezzi e lo getta in aria, come coriandoli. I coriandoli arrivano dappertutto; e quindi la singola canzone sarà molto più ascoltata del tempo in cui si vendevano i dischi, e il singolo articolo sarà molto più letto del tempo in cui si compravano ogni giorno sei milioni di quotidiani (e ci lamentavamo del distacco rispetto ai Paesi del Nord Europa). Però un giornale presuppone una gerarchia delle notizie, un'organizzazione del pensiero, un'idea del mondo. Un clic è un clic; e molto spesso agli articoli si accede via "social", senza rendersi bene conto che si sta leggendo un articolo di giornale. Fare a pezzi i libri, però, è impossibile. Il mercato sta andando bene, anche a causa della pandemia, che ha azzerato altri consumi culturali. Ma quante librerie resisteranno? Quante edicole? Quanti cinema e quanti teatri riapriranno? Woody Allen diceva, scherzando ma non troppo: "Ho fatto un corso di lettura rapida e ho letto "Guerra e Pace" in venti minuti. E' un libro sulla Russia". Non finiremo per leggere "I Promessi Sposi" in sette minuti, gentile signor Luglio; ma temo che i nostri nipoti finiranno per non leggerli affatto». La logica dei famosi "bignamini" (libricini che riassumevano le nozioni essenziali di determinate discipline o di certe opere) finisce per non essere più una scorciatoia dei tempi della scuola, ma la realtà di un mondo che insegue sintesi e rapidità, che può lasciare molte cose per strada. Tuttavia, dovrò decidere.