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29 apr 2021

In Valle d'Aosta non c'è il mare

di Luciano Caveri

Ci sono occasioni in cui, come dice il proverbio, «il troppo stroppia». Sintetica riposta popolare a casi macroscopici in cui l'eccesso guasta e deforma la realtà e bisogna averne consapevolezza. Così è con questa storia, purtroppo esemplare, dell'apertura delle spiagge appena sancita dal Governo Draghi in linea con l'estate scorsa, dopo aver, per contro, chiuso gli impianti a fune per tutta la stagione invernale. Differenza di trattamento che non esito a definire una vergogna. Si tratta evidentemente di una decisione che evidenzia due pesi e due misure e diventa la rappresentazione quasi grottesca di un Paese che abiura i territori montani - e in primis le Alpi - perseverando nella descrizione di un'Italia solo marittima, che risulta quasi caricaturale, da "pizza e mandolini". Dopo l'estate scorsa, quando l'Italia delle coste aveva, di fatto, ottenuto la piena libertà e nessuno si scandalizzò dei pienoni, si iniziò a guardare alla stagione invernale dello sci nelle Regioni alpine.

La Valle d'Aosta è stata capofila per ovvie ragioni per il ruolo capitale del settore funiviario e del suo indotto. Il mondo della montagna del tutto unito sul punto si mise a studiare protocolli seri per assicurare quanto necessario. Un lavoro certosino che incappò sin dall'inizio nella drammatizzazione della apertura degli impianti del Breuil-Cervinia con l'enfatizzazione degli eventi, come certi assembramenti che certo sì sarebbero dovuti evitare in un inizio stagione, sugli schermi televisivi e sui giornali. Un vero e proprio "crucifigge" che segnò la linea in negativo per un settore cruciale che non andava fermato ma ben regolamentato. Invece la grancassa mediatica non fece altro che fomentare pregiudizi cavalcati dal famoso "Comitato tecnico scientifico" e dal Governo "Conte bis" con in prima linea il ministro della sanità Roberto Speranza ed il suo collega delle Regioni Francesco Boccia. Entrambi sordi su questo e su altri punti nel solco di logiche rigoriste improntate ad un centralismo contrario alla armonizzazione di regole rispetto alle particolarità dei territori e delle loro economie. Con una visione "mediterranea" di manica larga verso il mare e di punizione verso la montagna con pesanti iniquità di trattamento. Per altro l'attesa delle Alpi, le più interessate da provvedimenti che comprendessero la sfida della stagione invernale ed i conseguenti responsi di Roma, fu costellata da lunghe attese e voltafaccia, per cui alla fine si comprese che non esisteva la volontà e certe promesse vaghe celavano una scelta preordinata e non modificabile. La chiusura dura e pura risultò non negoziabile ed i ristori non potranno coprire la massa di perdite. Aggiungo che il tentativo valdostano di dotarsi di norme di adattamento alle regole imposte ciecamente dal centro si è pure infranta nella bocciatura della legge regionale votata dal Consiglio Valle nell'esercizio delle sue prerogative democratiche per mano di una Corte Costituzionale incaricata di stroncare ogni scelta autonomistica in materia di pandemia. Lo Stato è lo Stato e l'articolazione democratica della Repubblica, secondo questa ricostruzione della Consulta, deve limitarsi ad obbedire. Triste epilogo da constatare nel ricostruire quanto avvenuto e lo si potrà fare seduti su di una sdraio vista mare sotto un ombrellone. Beffa finale. Per fortuna loro gli svizzeri, che gli impianti a fune li hanno tenuti aperti senza tragedie conseguenti, non hanno uno sbocco al mare...