Ho perso il conto di quanti tamponi abbia fatto per via delle persone incontrate o per la cautela delle riunioni in presenza nel Consiglio regionale della Valle d'Aosta, dove si è tornati da mesi al lavoro in presenza. Scelta meritoria, quando è possibile farlo perché una democrazia in remoto non funziona. Ogni volta che si fa il test per il "covid-19" se rapido si aspetta poco, più a lungo per il molecolare: in entrambi casi esiste la logica apprensione perché questa malattia fa paura a chiunque. In attesa del vaccino, cui agogno con fetida attesa, anche questo è diventata la vita di questi tempi. Da noi ci sono stati e ci saranno campagne di screening con tamponi, in particolare nelle scuole con insegnanti e studenti, come uno degli elementi che hanno consentito di rimanere aperti e di valutare in grandi comunità a stretto contatto l'evoluzione della malattia. Ed è quanto avviene ancora in questi giorni con un controllo di massa su quasi cinquemila studenti. Purtroppo già in una scorsa occasione la partecipazione si fermò attorno a poco più del trenta per cento in questa fascia che va fra i 14 e i 19 anni. Colpa da dividere fra genitori e ragazzi. Le motivazioni? Non finire in quarantena se malati e il ragionamento del tipo «se oggi risulto sano domani potrei essere malato»! Sfugge il valore epidemiologico di campagne di questo genere. Se già non capisco i contrari al vaccino, portatori di balle spaziali sul tema, mi sfugge ancor di più la reticenza sul tampone, che somiglia a tutti gli altri tipi di analisi che tengono sotto controllo la nostra salute. Anche questa storia ci servirà a capire quanto l'ignoranza sia una malattia, in molti casi senza rimedi.