Prendiamo i due estremi. Il primo è il «buonismo»: "Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari, o nei riguardi di un avversario, specialmente da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati personaggi della vita politica". Il secondo è il «cattivismo»: "Nel linguaggio giornalistico, atteggiamento di chi, rifiutando per principio ogni ipotesi di mediazione, mira a tenere alto il livello dello scontro politico e ad alimentare i contrasti sociali". Non per bontà, ma per buonsenso meglio situarsi al centro, leggermente spostati verso l'area del buonismo, a condizione che non faccia venire «il latte alle ginocchia», situazione che diventa stancante.
Fatemi soffermare su questa espressione bellissima, così spiegata, direi agli antipodi, dallo "Zanichelli": "La prima ci riporta a una pratica antica, quella della mungitura a mano a cui oramai in pochi assistiamo: chi mungeva teneva il secchio fra le ginocchia, seduto su uno sgabello a lato della mucca ad altezza delle mammelle. Il lavoro richiedeva perizia e di certo pazienza, fin tanto che il latte munto riempisse il secchio e arrivasse all'altezza delle ginocchia. L'azione ripetitiva poteva certo stremare il mungitore maldestramente seduto fra le bestie. Ma era un'azione necessaria al sostentamento della famiglia, con il surplus si potevano ricavare latticini (formaggio, burro) e talora anche denaro con la rivendita. Soprattutto riuscire a riempire uno o più secchi di latte era indice di prosperità e vitalità dell'allevamento o della sola mucca che si teneva in casa: insomma segno di benessere. Ci chiediamo perciò se al completo riempimento di un secchio di latte potesse essere associata l'immagine non entusiasmante che si evoca con la locuzione «farsi venire il latte alle ginocchia». L'altra ipotesi di indagine ci porta a due altre azioni. La prima: a considerare una delle caratteristiche principali del latte: il suo colore (bianco-latte), a un suo derivato aggettivale lattiginoso, e infine alla consistenza che raggiunge quando si caglia: vischiosa e aggrumata. La seconda: alla consultazione dei vocabolari. Riaprendo il buon vecchio vocabolario di latino scopriamo che "lactes" (al solo plurale e femminile) indica i visceri, meglio l'intestino tenue (al di sotto dell'ombelico per la precisione, "Thesaurus Linguæ Latinæ"), le budella degli animali. Con "murenarum lactes", latte di murena, i latini definivano la sostanza molle e lattiginosa che si trova nelle interiora. E' dunque probabile che l'immagine dei visceri (e forse altro!) che per stanchezza, si srotolano, allungandosi e distendendosi fino a toccare le ginocchia possa pure aver dato luogo a quella di rilassamento, noia e impotenza". Chissà quale due sia davvero all'origine della curiosa, ma anche plastica, espressione. Quel che è certo è che ragionavo non solo sul mio stato d'animo personale, ma su quel sentimento più generale di questi tempi. Mi sono spesso domandato, credendo sinceramente alle ragioni di una ripartenza, se e come si sarebbe incanalata quell'energia contradditoria che si creata nel periodo, ancora non concluso, della pandemia. Mi ero illuso che questa sorta di dopoguerra avrebbe liberato - in logica davvero liberatoria - molte energie positive ed un senso generale di pacificazione e di reciproca comprensione. Invece - sarà che le iniquità economiche e sociali non risultano sanate - noto con disappunto come un grumo ancora inestricabile di odio, rancori e incomprensioni attanagli ancora molte persone. Le ritrovate libertà e il riavvio dell'economia, anche con il sostegno di diverse forme di aiuto, non stanno, almeno per ora, dando quei frutti che sembravano così scontati. Si mantiene purtroppo un clima cupo e più che dare il meglio, in un generale nervosismo dal sapore agro, mi sembra che per ora una componente di pesantezza e persino di violenza siano ancora presenti come un veleno. Bastano così due pensieri positivi. Il primo, letterario, con Margaret Mazzantini: «Forse è quello che serve per andare avanti. Una sorta di impianto di depurazione, che disintegra il sedimentario, non fa scendere niente di duro. Si resta più lievi, persino più puri». Oppure il più complesso Karl Popper: «Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte». Già, il futuro: d'altronde non esiste alternativa.