«Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato». (Eugenio Montale) Nel viaggio attraverso le emozioni mi imbatto nel lato scuro, quello che tutti vorremmo evitare. Mi riferisci a quell'intrico costituito da "tristezza", "dolore", "sofferenza". Mai come in questo periodo ne abbiamo vissuti molti aspetti, al di là della ordinarietà. La pandemia è stato un pozzo profondo in cui siamo precipitati, stentando a risalire verso la luce. La tristezza ha invaso le nostre vite, colpire nella quotidianità con un cambio repentino, che ha mutato lo scenario. Penso alla malattia, che ha creato appunto dolore e sofferenza e quel senso di apprensione che si è riversato su di noi come una patina.
Già esiste sempre questo lato in ombra e per fortuna, almeno così è per me, se guardo il mio passato riappare nella memoria come migliorato. Momenti difficili vengono rielaborati e tinti di colori diversi, come se le parti peggiori finissero in un salutare dimenticatoio. Certo, ci sono ferite inguaribili e ogni giorno vediamo nelle vite delle persone che incrociamo il segno feroce del destino. Forse vi farò sorridere, ma è vero, come spesso ci si scherza sopra, che a partire da una certa età si guardano sui muri gli annunci mortuari per scrutare nomi conosciuti e leggere sull'epigrafe l'età per fare una comparazione con la propria. E sempre con l'età, specie quando si lascia la giovinezza, ci si accorge dei volti plurimi del dolore, che non è solo fisico ma morale. Personalmente penso in politica a chi mi ha deluso. Capita di incontrare persone di cui vedi solo il lato fattivo e solare, provandone sincera ammirazione, per poi capire che dietro quella facciata apparente esisteva l'inaspettato. Certo, sono esperienze che aprono gli occhi, ti fanno diventare guardingo, ma sono lezioni di vita che ti aiutano a crescere e non si finisce mai di crescere. Ha ragione Hermann Hesse: «Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci». So bene che non è sempre così. Penso alla terribile aggressione che subisce chi soffre di depressione. Uno stato di solitudine e di difficoltà che aggredisce e rende la vita tribolata. Lo scrivo pensando a com'è questo fenomeno sia molto presente nella nostra Valle d'Aosta. Pensiamo come abbia inciso in quell'animo difficile che fu Cesare Pavese: «Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l'aria. E' impalpabile, sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo; se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre, negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato e si aspetta il successivo». Tutto è detto e niente resta da aggiungere.