Sentirete parlare di questi tempi di una celebrazione, fatta propria anche dai Comuni valdostani ed accolta anche dalla nostra Regione (faccio parte di una Commissione che si è occupata dalla questione), dell'anniversario del Milite Ignoto, cent'anni dopo. Per capire di che cosa si tratti vi propongo, per la scarna e non troppo retorica descrizione, quanto scritto sul sito dell'Esercito: "Dopo la Prima guerra mondiale, le Nazioni che vi avevano partecipato vollero onorare i sacrifici e gli eroismi delle collettività nella salma di un anonimo combattente caduto con le armi in pugno. L'idea di onorare una salma sconosciuta risale in Italia al 1920 e fu propugnata dal Generale Giulio Douhet. Il relativo disegno di legge fu presentato alla camera italiana nel 1921. Approvata la legge, il Ministero della guerra diede incarico ad una Commissione che esplorò attentamente tutti i luoghi nei quali si era combattuto, dal Carso agli Altipiani, dalle foci del Piave al Montello; e l'opera fu condotta in modo che fra i resti raccolti ve ne potessero anche essere di reparti di sbarco della Marina".
"Fu scelta una salma per ognuna delle seguenti zone - si legge ancora - Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, tratto da Castagnevizza al mare. Le undici salme, una sola delle quali sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, ebbero ricovero, in un primo tempo, a Gorizia, da dove furono poi trasportate nella Basilica di Aquileia il 28 ottobre 1921. Qui si procedette alla scelta della salma destinata a rappresentare il sacrificio di seicentomila italiani. La scelta fu fatta da una popolana, Maria Bergamas di Gradisca d'Isonzo, il cui figlio Antonio si era arruolato nelle file italiane sotto falso nome essendo suddito austro-ungarico, caduto in combattimento nel 1916. La salma dell'Ufficiale fu recuperata al termine del combattimento e tumulata. Il Sottotenente Antonio Bergamas fu ufficialmente dichiarato disperso quando un violento tiro di artiglieria sconvolse l'area ove era stato sepolto e, conseguentemente, non potendosi più riconoscere la sepoltura, l'Ufficiale fu giuridicamente dichiarato disperso. La bara prescelta fu collocata sull'affusto di un cannone e, accompagnata da reduci decorati al valore e più volte feriti, fu deposta in un carro ferroviario appositamente disegnato. Le altre dieci salme rimaste ad Aquileia furono tumulate nel cimitero di guerra che circonda il tempio romano. Il viaggio si compì sulla linea Aquileia - Venezia - Bologna - Firenze - Roma a velocità moderatissima in modo che presso ciascuna stazione la popolazione ebbe modo di onorare il caduto simbolo. La tumulazione della salma del milite ignoto a ebbe il suo epilogo nella capitale. Tutte le rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, con il Re in testa, e le bandiere di tutti i reggimenti mossero incontro al Milite Ignoto, che da un gruppo di decorati di medaglia d'oro fu portato a Santa Maria degli Angeli. Il 4 novembre 1921 il Milite Ignoto veniva tumulato nel sacello posto sull'Altare della Patria. Al Milite Ignoto fu concessa la medaglia d'oro con questa motivazione: «Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria»". Mi sia consentita qualche riflessione, affinché questo doveroso ricordo non sia venato da un nazionalismo deforme e impiegato politicamente in modo strumentale. E' vero che democrazie importanti, come Francia e Regno Unito, precedettero l'Italia con questo tributo, pochi anni dopo la fine della Grande Guerra. Ma è altrettanto vero che nel 1921 fu l'anno turbolento che precedette l'avvento del fascismo e delle sue guerre sbagliate e sanguinose attraverso quella figura di Benito Mussolini, che appariva alle folle plaudenti - e l'immagine ci deve colpire - in quello stesso balcone di piazza Venezia che si torva a poche centinaia di metri dal Vittoriano, dove giace il corpo del Milite Ignoto. Per cui è bene riuscire a rendere queste celebrazioni attuali come elemento per pensare a due aspetti. Il primo, in una visione tutta valdostana, riflettere, come troppo poco venne fatto in occasione del secolo dal periodo 1914-1918 nelle cerimonie ufficiali, l'orrore che investì la nostra Valle per il peso enorme che subì nello scenario all'apposto dell'Arco alpino dove viviamo. Le cifre sono impressionanti, pensando agli 80mila abitanti di allora: 8.500 soldati valdostani al fronte, 1.157 fra morti e dispersi, 3.500 finiti in ospedale per ferite o malattie, 850 fatti prigionieri. Molti furono invalidi per sempre dopo il conflitto. Sono percentuali uniche rispetto a qualunque altro territorio. Generazioni falcidiate (sino al 1899, ma c'era anche qualche 1898) in una guerra di cui poco conoscevano le ragioni. Il "Battaglione Aosta", unico fra i battaglioni alpini ad avere la "Medaglia d'oro al valor militare", venne massacrato e certe vie di Aosta, oggi forse ignote a molti nel loro nome, portano ancora il segno di battaglie sanguinose, in cui i Generali al comando adoperarono i nostri alpini come carne da macello. Leggete "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu e capirete, attraverso le morti dei sardi della "Brigata Sassari", quale eguale destino toccò ai nostri. Di questo bisogna ricordarsi per evitare ricordi sdolcinati e roboanti. La seconda questione è evitare che questo far di tutto un'erba un fascio faccia cancellare, come già dicevo, le guerre volute dal fascismo prima con scelte autonome del duce d'intesa con i tedeschi e poi con il marchio nazista vero e proprio, compresa la guerra contro i partigiani e le stragi di popolazione. Ciò detto è bene ricordare e non farsi trarre in inganno da certo pacifismo di cartapesta, che torna periodicamente nella storia contemporanea, e che nega l'esistenza di guerre giuste da combattere, quando il Male si afferma e va combattuto anche con le armi. Ricordo su questo ed è decisiva in qualunque discussione sul tema una frase di Hermann Hesse: «La pace non è una paradisiaca condizione originaria, né una forma di convivenza regolata dal compromesso. La pace è qualcosa che non conosciamo, che soltanto cerchiamo e immaginiamo. La pace è un ideale». E come tale va perseguita ma senza ipocrisie, come mostra la guerra in Ucraina a due passi da noi ancora in corso o gli orrori di queste ore in Afghanistan con i talebani vincitori, in cui certo esistono colpe di un Occidente pasticcione, ma anche per responsabilità degli afgani che hanno accettato di rimettere l'orologio a vent'anni fa. In un solco, come ha spiegato Mattia Feltri ricordando come la democrazia occidentale non sia esportabile perché frutto di un lungo processo storico ignoto altrove: «Il problema dell'Afghanistan è che preferisce la legge di Dio a quella degli uomini».