Capita spesso di ragionare su come la grande storia, con le sue pagine più scure, si incroci con la storia delle persone. Ci ragionavo, nei giorni scorsi, nel peregrinare in due luoghi evocativi. Il primo è stata l'isola di Cefalonia nelle Cicladi: fa impressione in quello scenario mediterraneo pensare a quella strage di soldati italiani che, dopo l'8 settembre del 1943, furono sterminati dai tedeschi che li consideravano traditori, perché non si arresero. E' vero che sui fatti che riguardano l'eccidio della Divisione Acqui esiste una vasta storiografia non sempre coincidente. Segnalo, ad esempio, il libro di Elena Aga Rossi "Cefalonia. La resistenza, l'eccidio, il mito", che chiarisce molti punti, ma resta ovvio che quella isola resterà sempre un simbolo anche del cinismo di chi non arrivò a soccorrere i soldati italiani e cercò di far calare il silenzio su questa vergogna.
L'altro luogo è il gigantesco sacrario militare di Redipuglia, che custodisce le spoglie di centomila soldati italiani morti nella Grande Guerra. I lavori di ristrutturazione sono in ritardo ed è incomprensibile che ciò avvenga nell'anno del ricordo del Milite Ignoto! Resta comunque un luogo evocativo degli orrori della guerra e del tributo terribile in vite umane. Vedere le gradinate con i nomi dalla "A" alla "Z", in una litania di salme, fa venire i brividi. Anche la Valle d'Aosta ha molti luoghi evocativi e prossimamente parlerò in uno di questi posti. Traggo dal bel sito "inalto" il racconto che riguarda la chiesetta dei partigiani al Col de Joux di Saint-Vincent: "Come suggerisce il nome, è stata costruita nel 1953 per ricordare un gruppo di partigiani deceduti in quella zona a causa di una rappresaglia fascista. Nelle vicinanze della chiesetta c'è anche un piccolo cimitero nel quale sono sepolte alcune vittime della seconda guerra mondiale. La chiesa è stata costruita utilizzando materiali da costruzione tradizionali: i muri sono in pietra, il tetto è del tipo a capanna in legno con manto di copertura in lose di pietra. (…) Nel viale d'ingresso è stata posta una lapide in ricordo del comandante partigiano Edoardo Page (colui che ha fortemente voluto la costruzione della chiesa) che riposa all'interno assieme ad un partigiano ucciso a Grun". Ma la storia incrocia lassù altre vicende così evocate: "All'interno del parco c'è anche una targa in bronzo del 1995 che ricorda l'arresto, avvenuto ad Amay, e la successiva deportazione di Primo Levi, Vanda Maestro e Luciana Nissim". Già questa vicenda del dicembre del 1943 lega lo straordinario scrittore, testimone dell'Olocausto, a quei luoghi, visto che da lì inizio il suo viaggio verso il campo di sterminio, di cui - più di chiunque altro - è stato testimone con memorie impressionanti «per non dimenticare». Ricordo una sua poesia, dedicata proprio ai partigiani, che così recita nella parte finale e bisogna soppesarne bene le parole, perché Levi - nel suo tormento interiore che ha riguardato anche il breve periodo da partigiano - ha sempre cesellato le parole: «In piedi, vecchi: per noi non c'è congedo. Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna, lenti, ansanti, con le ginocchia legate, con molti inverni nel filo della schiena. Il pendio del sentiero ci sarà duro, ci sarà duro il giaciglio, duro il pane. Ci guarderemo senza riconoscerci, diffidenti l'uno dell'altro, queruli, ombrosi. Come allora, staremo di sentinella perché nell'alba non ci sorprenda il nemico. Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno, spaccato ognuno dalla sua propria frontiera, la mano destra nemica della sinistra. In piedi, vecchi, nemici di voi stessi: la nostra guerra non è mai finita».