Capita ogni tanto di interrogarsi sulla bellezza della montagna. Pagine e pagine di libri sono state scritte per raccontare quella sensazione estatica di fronte alle alte cime e quel senso di libertà che si ha quando si vive un'immersione nella Natura che caratterizza la montagna. Poi so bene come si tratta di realtà varie, pur con tante similitudini, e sarebbe bene usare sempre il plurale: «montagne». Ricordo la discussione quando si diverte scegliere il logo dell'Anno internazionale della Montagna 2002, di cui fui presidente, e che venne proclamato come tale dalle Nazioni Unite. Scegliemmo in Italia di chiamarlo "Anno internazionale delle Montagne", consci appunto delle differenze fra Alpi e Appennini, fra montagne insulari ed altri rilievi.
Ho letto con interesse nella lucida rubrica di Antonio Polito su "Sette" una vera e propria ode alla montagna e ad un aspetto concreto. Come i vasti spazi consentano, a differenza di altri territori, la meraviglia di poter trovare la solitudine nella sua accezione più nobile in un mondo affollato e caotico come il nostro. Ma non è solo questo. Lo esprimeva bene, secoli fa, Michel de Montaigne: «Un uomo deve mantenere un piccolo recesso dove può essere se stesso senza riserve. Solo nella solitudine egli può conoscere la vera libertà». Ma veniamo a Polito: «Sono nato a zero metri sul livello del mare. Ho scoperto la montagna tardi, forse troppo tardi. E già sono fortunato, perché mio padre e il padre di mio padre e via dicendo non l'hanno scoperta mai. Appena due generazioni fa, per un modesto lavoratore non c'erano né i viaggi di piacere né le vacanze estive. Da bambino mi portavamo alla spiaggia libera sotto casa, "mappatella beach" la chiamavamo perché pullulava di piccoli ammucchi di abiti lasciati sulla sabbia dai bagnanti; o nel parco delle Terme, allora affollatissime a Castellammare di Stabia: all'epoca tutti gli statali avevano diritto a quindici giorni all'anno di cure termali gratuite, bastava un certificato medico. Così ora, mentre cammino su un sentiero che mi porta a duemila metri sui Monti della Laga, di fronte a me il Gran Sasso, dall'altro lato il lago di Campotosto, mi domando come abbia fatto prima a vivere senza la montagna. A regalare attimi di pura gioia non è solo la bellezza del paesaggio, e il fatto di vederlo dall'alto, la sfida dell'ascesa (che contiene sempre un'ascesi), il senso di trionfo che dà la meta, quando la raggiungi, l'ebbrezza dell'aria rarefatta, e tutte le meravigliose sensazioni che grandi scrittori e famosi scalatori ci hanno mille volte descritto. C'è dell'altro. C'è la solitudine». Ecco il punto, che condivido: «Si sa, siamo esseri sociali e non possiamo fare a meno dei nostri simili, neanche quando sappiamo che sono portatori di un pericoloso virus respiratorio. Però siamo anche esseri solitari. Dentro di noi qualcosa ci chiede - ogni tanto, sempre più spesso – di essere lasciata in pace per un po'. "Non è un bene per l'uomo essere sempre costretto a subite la presenza dei suoi simili", ha scritto John Stuart Mill, un riformista ante litteram. "Un mondo nel quale la solitudine sia scomparsa è un ben povero ideale. La solitudine, nel senso di stare spesso soli, è essenziale alla profondità della meditazione e del carattere, e la solitudine alla presenza della bellezza e della grandezza della natura suscita pensieri e aspirazioni che non soltanto hanno valore per l'individuo, ma sono anche necessari per la società". Ecco, in questi giorni in cui si parla tanto d'ambiente, e di come salvarlo, dovremmo tenere a mente questo aspetto della questione. Il discorso ambientalista ha infatti spesso il difetto di giustificare i nostri doveri verso la natura in modo strumentale: dobbiamo preservarla per poter continuare a sfruttarne le risorse, per evitare ai nostri figli un'esistenza peggiore della nostra, per non far salire temperatura e inquinamento. Un discorso utilitaristico: e va bene. Ma c'è anche dell'altro: e cioè che noi siamo ciò che siamo in relazione all'ambiente in cui viviamo, e saremmo ben diversi se fosse diverso. Immaginate un mondo piatto, senza più montagne: sarebbe la stessa la solitudine? Dobbiamo dunque dar valore alla natura non solo per i nostri interessi, ma in sé. Perché è la nostra forma di vita». Sono parole poetiche, che a chi si sente montanaro suonano come una conferma. Una interazione che in montagna consente un privilegio: poter stare nella Natura con sé stessi.