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19 ott 2021

Tradizione e tipicità

di Luciano Caveri

Il Forte di Bard resterà nel tempo un monumento importante a testimonianza di come i fondi europei possano incidere in profondità su realtà regionali come la nostra. Quella vecchia macchina da guerra, nata per arginare eserciti che attraverso i nostri colli alpini si riversassero verso la pianura, oggi è un luogo simbolo culturale e sociale. Ci pensavo in occasione del "Marché au Fort", che nel mese di Ottobre ospita ai piedi della fortezza la più grande rassegna in Valle d'Aosta dedicata ai prodotti enogastronomici della nostra terra alpina. L'edizione di quest'anno, spalmata su due giorni, è stata uno dei segni della lenta ripartenza post pandemia. Quando sento parlare con un termine persino ormai invecchiato di prodotti a "km zero" mi viene sempre da sorridere. La gran parte di loro sono vivi e vegeti da lungo tempo, appartenendo alla categoria di quella larga categoria di alimenti che erano alla base della cultura di autoconsumo e di mercato locale della comunità valdostana, pur con qualche periodica invenzione più recente che rapidamente diventa tradizione. Con un papà veterinario, quindi a contatto quotidiano del mondo rurale, ritrovo spesso gusti che conosco, per mia fortuna, dall'infanzia e plauso al loro mantenimento e diffusione.

Mi ha sempre incuriosito la catalogazione dei prodotti e ho letto, a proposito, un articolo assai interessante che mi ha confortato su alcune mie idee per fare ordine. Lo traggo dal sito da accandemiagastrisofica.it , che offre spunti di riflessione assai originali. Così si spiega: «La voce italiana "tradizione" è documentata per la prima volta nel 1598, ed è derivata per via dotta dal latino "traditione(m)" che è a sua volta un derivato dal verbo "tradere", il cui significato di base è "consegnare oltre" (tra + dare). L'accezione originaria della voce è quindi "consegna, affidamento", e con questo significato appare nel 1291 la voce francese "tradition", passata a partire dal 1488 al senso figurato e specifico di "trasmissione ininterrotta alla posterità di memorie storiche, dottrine, usanze, costumi, leggende passate da generazione in generazione e da epoca a epoca per via orale, senza prove certe". Verosimilmente quindi la parola italiana non è stata ripresa dal latino, ma accolta per via del francese nello specifico significato che fu elaborato a partire verso la seconda metà del Quattrocento. In ogni caso il concetto di "tradizione" è fondamentalmente legato alla trasmissione e consegna alle nuove generazioni di credenze o usanze che si ripropongano ininterrottamente e sulla base di una condivisione diffusa». Poi si passa ad un'altra parole usata a proposito o... sproposito: «"Tipico" è una parola tutt'altro che... tipica nella lingua italiana, dove compare soltanto nel 1829 col significato di "appartenente a un tipo, a una persona o a una cosa" e nel 1897 in quello di "conforme a un tipo, che ne condivide le caratteristiche"; il significato di "esemplare" è del 1939, si parla di "tipico" nel senso di "caratteristico" dal 1891, ma la locuzione "piatto tipico" risale soltanto al 1958. "Tipico" riflette per via diretta il latino "typicum" a sua volta di derivazione greca ("typikós"), che è aggettivo derivato dal latino "typu(m), modello" e "modo di concepire qualcosa", dal greco "typos, impronta", che riprende il verbo "typtein" che significa "battere" e anche "lasciare un segno, un'impronta". Quindi è "tipico" ciò che riflette, riproducendolo esattamente, un certo modello: in campo alimentare, il concetto di "prodotto tipico" viene il più delle volte interpretato in modo erroneo, perché all'aggettivo si associa piuttosto il significato di "genuino" (e implicitamente di "buono, gradevole") che non necessariamente si associa all'idea di "tipico"». Questa spiegazione fa capire la cautela con cui muoversi e il rischio di ambiguità fra label europei (DOP, IGP ed STG) e elenchi vari, come ad esempio quelli del Ministero delle politiche agricole chiamato "Prodotti agroalimentari tradizionali". Ma alla fine forse quel che conta è l'impegno di chi lavora per prodotti del territorio, nel solco del passato o pure con novità che abbiano eguale legame con i luoghi e i suoi frutti di vario genere, sapendo che tutto cambia e si trasforma nella logica del commercio e del consumo.