Sul risultato elettorale alle comunali, specie nelle grandi città, ha scritto con la solita analisi numerica e scientifica Ilvo Diamanti su "Repubblica". Un passaggio in particolare trovo interessante sul voto che muta rapidamente e sull'astensionismo: «Ciò induce a riflettere nuovamente sul significato del voto, per i cittadini. Che è cambiato profondamente, nel corso del tempo. Rispetto a quando si votava "per atto di fede" o "per appartenenza". Quando i partiti esistevano davvero, esprimevano idee e ideologie, erano presenti sul territorio. Non solo sui media, tanto meno sui "social"- media, che non esistevano proprio. Il voto, allora, era un "dovere". O, almeno, un modo per col-legarsi con la società. Per scegliere da che parte stare. Oppure, si votava per ragioni concrete, per sostenere un "politico" che poteva aiutare il tuo ambiente. La tua categoria. O, ancora, per interesse. Da molti anni, però, non è più così. E per votare ci vogliono buone ragioni. Espresse da soggetti efficaci e visibili sul territorio».
Una crisi evidente, che per altro smitizza la famosa elezione diretta del sindaco. Non solo valida per l'elettorato attivo, cioè il voto, ma anche per quello passivo, cioè la candidatura. Non è facile trovare candidati sindaco all'altezza e candidati consiglieri che si impegnino. Da noi in Valle d'Aosta la lista unica è un ulteriore segno tangibile di questo genere di disaffezione. Sabino Cassese, vecchio saggio, sentenzia sul "Corriere": «Hanno perso tutti. Hanno perso le forze politiche che hanno dovuto rivolgersi all'esterno per trovare un candidato, perché all'interno non erano riuscite a selezionare e formare una classe dirigente. Hanno perso le classi politiche locali perché i votanti nelle elezioni comunali sono diminuiti nell'ultimo decennio più del doppio dei votanti nelle elezioni politiche. Hanno perso i vincitori dei ballottaggi perché hanno ottenuto l'appoggio solo di un quarto o di un quinto dell'elettorato». Pensieri seri, espressi in modo tranchant ma assai efficace e si aggiunge ancora: «Hanno perso le Istituzioni, perché più grandi sono i Comuni, minore è stata la partecipazione (non compensata dalle Circoscrizioni, che erano state introdotte nel 1976, dopo l'esperienza dei Consigli di quartiere, per bilanciare le dimensioni dei Comuni più popolosi). Ha perso, infine, anche la retorica dei Comuni come Istituzione più vicina ai cittadini, se a votare i deputati va alle urne il 73 per cento circa dell'elettorato e a votare i sindaci va il 55 per cento circa dell'elettorato, perché ritiene di second'ordine le elezioni locali. Le forze politiche dovrebbero ora trarre la lezione da questi insuccessi. Separando il contingente dal duraturo, dovrebbero capire che, prima di conquistare un elettorato, dovrebbero conquistare degli iscritti e dei proseliti. Altrimenti, resteranno circuiti chiusi nelle direzioni nazionali, incapaci di far sorgere, selezionare ed educare una classe di amministratori pubblici. Se continueranno a fondarsi - come oggi - su sabbie mobili (basta calcolare i non votanti e controllare i flussi elettorali) resteranno quello che sono oggi, un leader e la sua corte. La fragilità odierna dei partiti (i loro attuali iscritti sono un ottavo degli iscritti ai partiti del dopoguerra, mentre la popolazione è aumentata di circa dieci milioni) e la fluidità del loro elettorato derivano dall'assenza di una vera e propria offerta politica e dalla dittatura del quotidiano (ogni giorno uno slogan, ogni giorno un sondaggio). C'è, invece, un interesse per la politica che aprirebbe ai partiti campi estesi». Ne sono personalmente convinto, ma si stenta ad uscire dalla forma partito tradizionale e esperienze come i "Cinquestelle" fatta di politica... antipolitica hanno stufato e sono usciti dalla finestra dopo essere entrati dalla porta. Ancora Cassese: «L'indagine Istat sulla partecipazione politica mostra che si informa della politica e ne parla tre quarti degli italiani con più di 14 anni, mentre meno di un decimo si impegna in una partecipazione politica attiva. Ecco, dunque, un campo vastissimo aperto per forze politiche che siano veramente interessate al proprio futuro e all'avvenire del Paese». Mi fermo qui nella citazione. Segnalo solo che la democrazia italiana e quella valdostana, con alcune sue peculiarità ancora esistenti con l'area autonomista, o svilupperà forme nuove di partecipazione oppure l'area dell'astensionismo si assesterà su livelli preoccupanti. Specie quando in scena, come capitato ore fa in Consiglio Valle, ci sono consigliere regionali che creano situazioni assurde di paralisi istituzionale.