Chi protesta contro il "green pass" e dunque contro il vaccino sbandiera il tema della «libertà». Di loro non mi occupo più: la questione andava risolta senza spazi di ambiguità con l'obbligo vaccinale. Ma non si è avuto il coraggio di farlo per paura di dispiacere loro, che sono pur sempre elettori. Non condivido ma così è ed ora si correggerà il tiro, differenziando nelle misure di contenimento del virus i vaccinati dai non vaccinati. Ma il tema delle "libertà" (uso non a caso il plurale) non è una banalità. E' indubbio - e l'ho più volte scritto - come certe libertà democratiche siamo state compresse per rispondere alla pandemia, anche quando non ce n'era bisogno. Penso, nel caso valdostano, alla bocciatura della Corte Costituzionale della Legge regionale che armonizzava le decisioni centrali alla particolarità del nostro territorio e della nostra Comunità senza venir meno agli obblighi sanitari.
La "ragion di Stato" ed i poteri dello Stato, secondo la Consulta, non lasciano spazio alla democrazia locale ed ogni decisione in caso di emergenze sanitarie come questa spetta a Roma. Un rullo compressore ingiusto e sproporzionato nel nome dello stato d'eccezione che prevale. Per questo è interessante leggere il costituzionalista Michele Ainis su "Repubblica" che ricorda questa storia dello Stato che assurge a decisore. Osserva Ainis di cui cercherò di riassumere il ragionamento: «Questa pandemia ci sta impartendo una lezione. Perché illumina i rapporti fra le libertà e la legge, fra la legge stessa e la politica. Quali norme, quali procedure durante un'emergenza? Chi ha il potere di deciderle? E quanto a lungo può protrarsi il regime d'eccezione, senza rovesciare l'eccezione in regola? La proroga dello stato d'emergenza - possibile, se non anche probabile - si situa al crocevia di questi tre interrogativi. Ma dopotutto tocca il fulcro dello Stato di diritto, la sua ambizione di prevedere gli eventi imprevedibili, sottoponendoli a una regola suprema. Quella regola, diceva Carl Schmitt, incarna l'essenza stessa del potere: "Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione". E infatti durante un'emergenza l'ordinamento si ritrae, mettendo a nudo le proprie radici. Quali? La Costituzione italiana affida il timone delle crisi al Parlamento, consegnandogli il potere di deliberare la massima emergenza: lo stato di guerra (articolo 78). Dunque è il Parlamento il cuore del sistema. Mentre il governo può legiferare per decreto nei casi d'urgenza (articolo 77), ma a condizione che il decreto venga poi ratificato dalle stesse assemblee parlamentari». Più volte denuncia nei primi mesi della pandemia come così non fosse e Ainis lo spiega bene: «Sennonché la pandemia ha rovesciato questo canovaccio. L'anno scorso il virus incrudeliva, e al contempo il Parlamento finiva sotto un cono d'ombra, oscurato dal governo. Anzi: nemmeno dal governo, bensì dalla figura solitaria del presidente del Consiglio. E allora via con i "Dpcm", atti individuali del premier, che sfuggono al controllo del Consiglio dei ministri, del Capo dello Stato, delle Assemblee legislative. E via con le ordinanze di ministri, sindaci, governatori. Ecco, è questa la lezione che ci reca in dono l'esperienza. L'accentramento del potere, ieri per un elemento formale (i Dpcm di Conte), oggi per uno sostanziale (l'auctoritas di Draghi). Nonché la distorsione delle regole che disciplinano lo stato d'emergenza. Colpa d'un malanno (la crisi delle assemblee legislative) già da tempo in circolo nel nostro ordinamento. Ma colpa, talvolta, pure delle regole. Specie quando dettano prescrizioni troppo specifiche, puntuali, notarili. Giacché allora i fatti le travolgono, come uno tsunami». Draghi ha dimostrato meno disinvoltura di Conte nella disapplicazione del sistema istituzionale, ma certo - come dimostra il "Piano di resilienza" - non comprende il regionalismo e le sue ragioni. Speriamo capisca la delicatezza dello stato di eccezione e la probabile proroga di questa misura passi davvero attraverso meccanismi costituzionali ed un dibattito pubblico ignorati dai Governi Conte. Ricorda Ainis: «La proroga dello stato di emergenza s'iscrive in quest'ultimo registro. Il codice della protezione civile la consente, ma entro un determinato lasso temporale. Articolo 24: "La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i dodici mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori dodici mesi". Siccome l'emergenza venne dichiarata il 31 gennaio 2020, alla fine del prossimo gennaio diventerà un farmaco scaduto. Sicuro? Quel codice è un decreto legislativo, quindi basta un decreto legge per cestinare le sue disposizioni. E del resto, a leggere la norma parola per parola, quest'ultima risulta già violata. Se ne desume infatti che la proroga di un anno decorre dal termine finale della prima dichiarazione dello stato d'emergenza, dunque dal 31 luglio 2020; siamo già fuori, perciò, dal tempo massimo. Eppure fin qui lo stato d'emergenza è stato prorogato cinque volte: al 15 ottobre 2020; al 31 gennaio 2021; al 30 aprile 2021; al 31 luglio 2021; al 31 dicembre 2021. Morale della favola: nessuna emergenza può protrarsi all'infinito, però l'emergenza non tollera alcun tempo finito. Dipende dagli eventi, dalla loro evoluzione. E infatti la regola del biennio è saltata già, come un birillo, in altre circostanze. Il "Milleproroghe" del 2019, per esempio, ha prorogato per tre anni lo stato d'emergenza derivante dal crollo del "Ponte Morandi", così come quello per il terremoto del Centro Italia (avvenuto nell'agosto 2018) o per il sisma dell'Emilia (che risaliva addirittura al 2012). Mentre nel 2020 un decreto legge ha sforato ulteriormente i termini rispetto ai fenomeni meteorologici dell'autunno 2018. Ma è utile osservare che in origine questa disciplina normativa non sfoggiava un orologio al polso. Difatti la legge madre sulla protezione civile (n. 225 del 1992) lasciava del tutto libero il governo di stabilire durata ed estensione dello stato d'emergenza. Poi, nel 2012, il decreto legge n. 95 pose limiti stringenti: novanta giorni, prorogabili per non più di sessanta. Infine, nel 2018, il codice della protezione civile ha dilatato il limite a un biennio. Tuttavia la pretesa resta assurda, benché ispirata al nobile principio d'impedire un'eccezione permanente. Il legislatore non può dire a un vulcano: all'alba del terzo anno smetterai d'eruttare. O se lo fa, poi non deve protestare quando la lava lo sommerge». Questo per dire che se la pandemia non molla è bene proseguire con situazioni che comprimono le nostre libertà. Come non condividere il ragionamento? Ma sia chiaro che questo deve avvenire non solo con i necessari passaggi democratici, ma coinvolgendo quella politica di prossimità - in primis le Regioni - che conoscono le realtà locali e sono in grado di saper applicare misure generali, armonizzando le norme alle particolarità dei propri territori e delle popolazioni che li abitano.