Ognuno guarda le altre generazioni dalla prospettiva del bagaglio di esperienze della propria, sia quelle prima (alcune purtroppo già scomparse, tipo il nonno materno del 1890 o mio papà del 1923) che quelle dopo (in primo piano i miei figli, del 1995, 1997 e 2010 ed alcuni collaboratori in anni di mezzo). Capisco che è sempre una prospettiva interessante e nel contempo rischiosa, perché ciascuno di noi è attaccato ai propri modi di essere e finisce per relativizzare quelli di altra epoca e di altra età. Bisogna di conseguenza essere più comprensivi e, se ci si riesce, più empitici per evitare effetti distorsivi nel giudizio. Ecco perché mi ha fatto molto pensare, in senso autocritico, quanto scritto su "Sette" da Antonio Polito con cui mi sento molto empatico.
Esordisce con un passaggio molto divertente, in cui mi immedesimo essendo del 1958 e dunque di due anni più giovane: «L'altro giorno mio figlio è sbottato: "Papà, tu sei uno degli Anni 60". Voleva dire: non capisci niente (già è molto che non mi abbia dato del "boomer"). Sul momento, mi ha fatto arrabbiare. "E allora?", gli ho risposto. Ebbene sì, sono nato negli Anni 50 e ho avuto diciott'anni nei 70. Qualche problema? Siamo la generazione che ha incrociato la Storia con la maiuscola. Dall'indimenticabile '56, la guerra per Suez e l'invasione dell'Ungheria; fino al '68, vero spartiacque dell'Occidente, e alla liberazione sessuale, il divorzio e l'aborto, negli Anni 70. E poi la caduta del Muro, la fine del comunismo, il trionfo della democrazia. Siamo quelli del "baby boom", quelli che hanno trasformato un Paese arretrato e bacchettone in una nazione moderna e progredita, conducendo aziende e partiti, giornali e televisione, grazie alla parlantina sciolta allenata nei cortei studenteschi e agli alti livelli di scolarizzazione. Ma forse è proprio per questo che ora soffriamo così tanto della sindrome dell'ex. Man mano che usciamo di scena, per la pensione o anche prima per obsolescenza, ci accorgiamo che il nostro ruolo di grilli parlanti si sta esaurendo. Ed è un trauma. Siamo abituati ad essere ascoltati, in famiglia e fuori, e ora notiamo una preoccupante distrazione nei nostri interlocutori quando ci lanciamo nelle nostre tirate. E' in corso un gigantesco fenomeno di sostituzione generazionale. Gigantesco perché la nostra coorte demografica, quella dei nati tra il 1946 e il 1964, è stata la più numerosa degli ultimi cent'anni. Tanto per dare un'idea: al suo culmine, nel 1964, in Italia nacquero più di un milione di bambini; quest'anno saranno per la prima volta meno di 400mila. Se volessimo partecipare al gioco di dare un nome alle generazioni, (la "Generazione X", la "Generazione Y" dei "Millennials", la "Generazione Z"), noi potremmo chiamarci la "Generazione EX": quelli di prima, insomma». Mi ci rivedo, eccome! E non solo nei rapporti familiari, ma anche in politica. Pare - o almeno così mi fanno credere - che certi miei discorsi fra lo storico e il memorialistico interessino, perché racconto di fatti e personaggi che non figurano nell'oratoria di altri. Ma capisco che talvolta possano suonare come antichi, perché frutto di quello che sono e in fondo certi pensieri sul fatto che i miei familiari più âgés fossero retrogradi e fermi in certe loro convinzioni ce li ho avuti anch'io. Ma con prospettiva ottima per pensarci così conclude Polito: «La nostra frustrazione è perciò comprensibile. Pensiamo - a ragione - che le generazioni successive (i nostri figli) non dovrebbero buttar via tutto quello che noi abbiamo visto e capito. Però dovremmo anche imparare ad accettare con stile l'eclisse, il declino, l'addio. E c'è un solo modo per farlo con successo: un grande bagno di umiltà. In fin dei conti, siamo poi così sicuri che le nostre esperienze di vita siano state più significative e formative delle loro? I nati dopo il Duemila sono entrati nella storia insieme con un atto di guerra, l'abbattimento delle Twin Towers, che noi non abbiamo mai visto nel nostro lungo tempo di pace. Hanno incrociato la crisi economica più drammatica dal crollo di Wall Street del 1929, mentre noi ce la siamo spassata in decenni di prosperità continua, consumi e benessere. E ora sono alle prese con la più grave pandemia dalla "spagnola" del 1918, un evento che ha cambiato il modo di vivere del mondo intero. Saremo capaci di riconoscere, insomma, prima o poi, che questi ragazzi ne hanno viste già più di noi?». Capisco e sono d'accordo ed apro la mia mente.