Ci sono domande difficili a cui non è facile rispondere. Qualunque adulto sa bene che quelle più micidiali arrivano sempre dai bambini. Quando sono molto piccoli e spesso insistenti, il candore di loro certi interrogativi deriva dall'alta considerazione che hanno di noi genitori. C'è un'età in cui ci ritengono onniscienti, anche se non lo siamo affatto e pian piano lo sgamano pure loro, crescendo. Quando sono preadolescenti non ti chiedono più «com'è nato il mondo?» o «come mai esistono le zanzare?» o ancora «cos'è la morte?». Cercano semmai un po' confusamente il sostegno ai loro dubbi comportamentali, perché si stanno esercitando nella loro autonomia e noi siamo un appiglio prima che spicchino il loro volo decisivo verso la vita sempre più autonoma.
Tuttavia le risposte sul da farsi - che sia educazione civica, quella sentimentale o altre tipologie possibili fra emozioni e razionalità - non sono sempre semplici e talvolta bisogna essere attenti. In fondo l'educazione è fatta da numerosi equilibrismi: nessuno ci insegna il mestiere del papà e della mamma. Un recente esempio è - l'espressione è davvero azzeccata - un "caso di scuola", quella di mio figlio, classe prima. Alcuni suoi amichetti si sono messi a fare come gesto di complicità il saluto romano, pare associato ad un'ammirazione confusa per fascismo e nazismo. La vicenda ha turbato il piccolo di casa, visto che è stato istruito su che cosa abbiano rappresentato queste dittature. In più nell'aneddotica familiare c'è nonno Sandro internato come militare ad Auschwitz, che raccontò a noi figli quella sua esperienza assieme ad altre storie fra antifascismo e Resistenza. Che fare? Superato l'istinto di suggerirgli di prenderli a calci nel sedere, che non va bene né per istigazione alla violenza né per il rischio di buscarsi delle botte, si entra nel terreno della legalità. Così, specie grazie alla saggezza materna, si è immaginata una road map di questo genere. Anzitutto si è suggerito di parlare con questi suoi coetanei, dicendo che questa storia lo ferisce, raccontando quel che sa su queste vicende, facendo loro garbatamente capire che sbagliano. In caso di insuccesso si potrebbe salire di grado, parlando con la prof coordinatrice e spiegare il perché del disagio. Non vuol dire fare la spia, perché si agisce a fin di bene. Se anche questo tentato restasse acqua fresca, allora potremmo essere noi mamma e papà a parlare con i "colleghi" genitori dei ragazzini. Se il caso, si potrà arrivare sino alla Dirigente scolastica, affinché - senza farla troppo grossa - organizzi una bella lezione di Storia per schiarire le idee a chi le ha confuse. Da riferire anche ad eventuali suggeritori qualora individuabili fra parenti e affini. Chissà come andrà e credo si tratti solo di una bolla di sapone, giusto una bambinata come può capitare. Resta, però, per il mio piccolo e nel suo piccolo, l'occasione per affrontare un esercizio di cittadinanza. Il peggio è sempre tacere o chiudere gli occhi. Uscendo dall'episodio descritto che è una tempesta in un bicchiere d'acqua, ricordo come spesso si cominci dalle cose minute cui ci si abitua non reagendo e poi ci si accorge, come proprio la Storia insegna, che è troppo tardi per intervenire quando scatta un effetto valanga. Esiste una terribile banalità del male, che parte da quanto appare insignificante e cresce sino a diventare minaccia e violenza che non si ferma più con facilità.