Le religioni sono costruzioni culturali complesse. Quando da cattolico osservo i riti della nostra tradizione trasalisco, cogliendone la profondità e lo stesso vale per l'osservazione, certo più superficiale, delle religioni altrui. I misteri della fede sono un fatto assieme personale e collettivo. Il bisogno di trascendente fa parte della nostra umanità e chi ha un approccio laico non significa affatto che sia scevro da riflessioni profonde sul significato stesso della nostra vita. Questa nostra esistenza, per chi abbia avuto una formazione religiosa, è stata scandita dai diversi passaggi, alcuni pilotati dai nostri genitori, altri da noi stessi e dalle nostre scelte. Ho sempre pensato che, qualunque posizione poi si assuma, capire il nostro cattolicesimo - per chi ovviamente non pratichi altre religioni o non ne abbia nessuna - sia necessario per scoprire da dove veniamo e chi siamo.
Quel che personalmente trovo assai interessante è lo scandire nel corso dell'anno di date significative. Il Natale e la Pasqua trovo siano - scusate la banalità - un cammino utile per la riflessione e non mi metto a discutere, perché mi è già capitato di farlo, se siano preferibili la nascita, la morte o la resurrezione. Non sono una specialista del ramo, anche se ho letto cose interessanti di chi queste cose le conosce e le commenta. Quel che posso dire è che giorni come quello di oggi - il famoso "Venerdì Santo" - hanno un aspetto profondo e suggestivo, cui non si può sfuggire. Quando si guarda con freddezza al simbolo della croce ci si trova sempre come piegati sull'orlo dell'abisso della condizione umana, che ha nel dolore un elemento drammatico sempre in agguato. Oggi certo facile da evocare nella situazione terribile e dolorosa del popolo ucraino, che diventa esemplare, come molte altre ferite aperte da non dimenticare. Ma questa guerra fratricida, nella follia assassina e nella crudeltà degli eventi, assume oggi con la potenza e la crudezza dei lutti e delle devastazioni un valore assoluto per pensare ad un'umanità dolente. Difficile cogliere elementi di speranza e ottimismo per il futuro nostro e dei nostri figli. Ecco perché vorrei citare due pensieri: uno sul Venerdì Santo è uno sulla Croce. Il primo è una poesia di David Maria Turoldo: «No, credere a Pasqua non è giusta fede: troppo bello sei a Pasqua! Fede vera è al venerdì santo quando Tu non c'eri lassù! Quando non una eco risponde al suo alto grido e a stento il Nulla dà forma alla tua assenza». Il secondo sulla Croce è di Natalia Ginsburg: «Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo».