Non so chi si sia inventato per la Valle d'Aosta il termine «isola felice», giocando ovviamente sulla cerchia delle montagne che può essere equiparata ad un mare che ci circonda. Quel che so è che io l'espressione non l'ho mai usata e quando mi sono trovato di fronte ad un interlocutore che con vis polemica mi apostrofava: «Non siamo più un'isola felice!» sono sempre stato stupito e interdetto. Solo uno stupido può pensare che oggi, ma questo era vero già in passato, la Valle d'Aosta possa vivere chiusa nelle proprie mura e non erano necessarie per saperlo la pandemia e la guerra in Ucraina. Anzi, ho passato molti anni a cercare di dimostrare che solo facendo sistema ed avendo alleanze di vario genere possiamo superare il limite oggettivo della nostra piccola dimensione. Avere un rapporto continuativo con le altre Autonomie speciali in Italia è una necessità, perché sono moltissimi i terreni di confronto e di scambio di esperienze e risulta essenziale quella collaborazione "difensiva" a tutela dei nostri ordinamenti particolari.
Certo, questo significa anche con le altre Regioni seguire percorsi di lavoro comune e nel caso nostro esiste una necessità di sinergie con il vicino Piemonte e ci sono poi terreni di intesa che sono significativi con Regioni anche distanti, come può avvenire concretamente - e lo si è fatto - in favore di una politica per la montagna o analogamente si lavorò con le diverse realtà italiane dove ci sono minoranze linguistiche piccole o grandi che siano. Confesso però che la dimensione che mi pare più importante per la nostra Valle è quella europea, che permette in più di spendere bene la forza del nostro bilinguismo. Questo significa anzitutto la cerchia a noi più vicina e l'opportunità straordinaria della cooperazione territoriale, un tempo trasnfrontaliera, ma la grande prospettiva dell'Unione europea - valida anche verso la Svizzera - è stata proprio l'abbattimento delle frontiere. Da tanti anni seguo questo settore e i risultati di tante collaborazioni (ed anche amicizie) significa oggi condividere con francesi e svizzeri una marea di progetti che cementano una dimensione politica diversa da quella degli Stati. Abbiamo di fronte a noi, grazie alla politica regionale europea ma non solo, una prateria sconfinata di opportunità. Fui fautore di "AlpMed" con le Regioni francesi a noi vicine e con Piemonte e Liguria in una logica di area vasta che va decisamente ripresa, evitando che diventi un catafalco burocratico. Ma l'altra grande opportunità - ed ho avuto occasione di tornarci in questi giorni con un incontro a Trieste - è "Eusalp", la macroregione alpina, che raggruppa ben Regioni, appartenenti a sette Stati: cinque dell'Unione europea Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia e due stati extra europei Svizzera e Liechtenstein. Ho vissuto gli albori di questo progetto una ventina di anni fa: ricordo una riunione d'avvio presso la sede della Baviera a Bruxelles. "Eusalp" può essere occasione di colloquio e di scambio per buone pratiche e anche una potente lobby buona presso le Istituzioni comunitarie. Per la Valle d'Aosta altre opportunità di interscambio devono essere le Regioni con poteri legislativi nel resto d'Europa e la rete importante delle "Nazioni senza Stato", come si definiscono con una certa prosopopea l'insieme di minoranze linguistiche e nazionali che rappresentano, per così dire, un'altra Europa rispetto ai soli Stati nazionali. Sono amicizie preziose che ci possono fare crescere e farci diventare, attraverso queste alleanze, anche più influenti. E' un modo potente per evitare di stare chiusi in noi stessi e di crescere nel confronto costante con gli altri. E' una scelta che dobbiamo instillare nelle giovani generazioni, affinché i nostri ragazzi siano cittadini europei a pieno titolo e abbiano sempre un occhio attento al futuro della loro Valle, rendendoli compartecipi per evitare un eccesso di fuga di giovani cervelli che ci renderebbe sempre più fragili. Nella speranza che chi sceglie di stare altrove non perda mai i contatti con la Valle e possa anche da altrove continuare in qualche modo a compartecipare al futuro della terra natia.