Avevo conosciuto Valeria Tron, cantautrice affabulatrice dell'alta Val Germanasca, nel mio lavoro radiofonico alla "Rai" della Valle d'Aosta. Il suo patois occitano ed il suo francese erano e sono il segno evidente del particolarismo della sua terra. La sua battaglia a difesa delle lingue e della cultura alpina di una vallata in territorio valdese - non a caso amministrativamente dipendente dall'area metropolitana di Torino in logica colonialistica! - aveva suscitato tutta la mia ammirazione. Ho provato subito una naturale empatia per questa montanara sensibile e risoluta, avendo da parte mia sempre lavorato in politica a difesa delle minoranze linguistiche e non solo quelle delle Alpi. L'ho sentita vicina per questo suo saper raccontare le nostre montagne e le sue genti, abituate a vivere laddove i confini sono sempre stati ballerini sino ad essere rigidamente imbrigliati nella logica di separazione degli Stati nazionali. Ne scrissero con efficacia valdostani e valdesi nella "Dichiarazione di Chivasso" del 1943 con quel pensiero federalista che riluce ancora oggi.
Ora me la sono ritrovata, in una lunga chiacchierata assieme a Roberto Luboz che l'accompagnava, sempre nutrita dalla stessa passione trasferita in un suo primo romanzo. Ho ricevuto il suo libro in omaggio e l'ho affrontato subito, spinto dalla curiosità e anche in vista di una presentazione pubblica ad Aosta, domenica prossima, cui parteciperò. Si intitola "L'equilibrio delle lucciole" (Salani Editore) con il sottotitolo "Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno, Melzoun". In effetti "la Casa", così si traduce, non è solo un'abitazione nelle fitte 394 pagine del libro, ma un mondo che dimostra come un paese di montagna e la natura in cui è immerso sia anzitutto una comunità ed espressione di un percorso con radici profonde. Storie personali e familiari che sfociano in chi sceglie di non andarsene o di tornare in microcosmi squassati dallo spopolamento e da una modernità che ne ha stravolto le fondamenta. Così in questa trama soprattutto al femminile chi conosce la montagna ritrova, come in un gioco di echi ricchissimo di parole opportunamente cesellate e ricche di sentimenti e emozioni con un trasporto caldo e vivace, le analogie e le persistenze di questa nostra cultura alpina, di cui il massimo teorico e cantore è stato per capirla lo storico e geografo Paul Guichonnet. Finalmente una voce (con l'uso sapiente nei dialoghi del proprio patois reso comprensibile a tutti), quella di Valeria, che ci aiuta - ma non svelo nulla perché i libri vanno letti e non spoilerati - a far vedere le nostre Alpi in quella logica matriarcale che sappiamo essere una realtà anche in quell'insieme di vite vissute che si incrociano in pagine che ti obbligano a tenerti stretto il libro ed a percorrerlo in una logica febbrile. Quando ne hai letto un pezzo non vedi l'ora di ritrovarti in fretta nell'andirivieni del balletto di personaggi che vedono il resto del mondo dal proprio campanile, dove tornano per la sua logica attrattiva. Ciò avviene senza toni melensi di una montagna immaginaria di cui troppo spesso leggiamo, ma di un'Alpe splendidamente concreta e umanamente vissuta nel legame con la Natura in cui l'essere umano non è mai un estraneo, come in certa vulgata ecologista nella terribile parola, che è un pregiudizio, "antropizzazione". Non conosco autrici che abbiano saputo raccontare la quotidianità in questo modo educato e austero, ricco di sensazioni intime e collettive in cui ho ritrovato, in un processo di naturale simpatia, memorie personali e luoghi in cui il genius loci dimostra quanto dobbiamo continuare a dire per la montagna ed i suoi montanari. E cioè che non ci si deve rassegnare all'agonia di culture alpine sempre più piccine con paesi svuotati, case mute e lingue tagliate. La riconquista della montagna, però, non può essere un esercizio artificiale con mancette per chi risalirà le vallate più abbandonate, perché prive del turismo ricco. Così come non ci si deve far ingannare, per contro, dall'idea di una montagna povera che conquisti anime candide alla ricerca di spiritualismi stucchevoli. Bisogna, invece, riportare la vita in ossequio ad un passato che Valeria racconta con la forza dei ricordi e dei suoi valori, sapendo - ma questo lo aggiungo io - come in futuro si potrà sempre più lavorare ovunque, senza troppi vincoli fisici e certe meraviglie di paesi - sospesi come sono in una dimensione ormai onirica per chi vive nel caos delle grandi città - potranno tornare a vivere. Intanto consiglio caldamente di affondare i propri pensieri in questo libro che non è un esordio una tantum, ma la scoperta di un talento che non finisce qui. D'altra parte leggo nel libro sui cognomi della Valli valdesi, scritto da uno degli autori della "Dichiarazione di Chivasso", che ebbi l'onore di conoscere, Osvaldo Coïsson, che il cognome Tron deriverebbe da "tuono". Un tuono questo primo libro di Valeria che ha fatto rumore nel mondo letterario, che sarebbe piaciuto a Mario Rigoni Stern!