«Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale».(Piero Calamandrei) Finiscono le scuole e credo che ci siano occasioni in cui, al posto di fare un saluto iniziale dell'anno scolastico, vale quasi più la pena - prima dell'agognato «liberi tutti» dei nostri studenti - di parlare a conclusione di questo periodo così difficile. La pandemia ha ancora pesato, certo meno che nel periodo più grave del covid-19, ma gli strascichi ci sono stati. L'aspetto più allarmante è stato il peso psicologico su studiosi e docenti e anche certi faticosi batti e ribattiti con il mondo dei "no-vax" che mi auguro si esauriscano.
Tuttavia, non si può che rimarcare la capacità di resistenza (oggi si direbbe "resilienza") della Scuola valdostana e di quella larghissima parte di persone che hanno cercato di dare il meglio e questo serve anche a sfrondare certi pregiudizi che ogni tanto pesano specie sul lavoro degli insegnanti. Toccherà nei prossimi anni aiutare certi studenti che con la Didattica a distanza hanno perso alcuni passaggi, vista l'oggettiva difficoltà di imparare e di studiare on line. Questo non vuol dire non cercare gli usi utili e arricchenti del mondo digitale, così familiare per i ragazzi, specie nelle generazioni più recenti. Questo riconoscimento generale di una scuola che stringe i denti e si impegna non significa naturalmente non interrogarsi sul futuro della scuola valdostana, sospesa com'è in una zona grigia fra autonomia derivante dallo Statuto e persistenza dello status giuridico (contratto compreso) in capo allo Stato. Una situazione ambigua da discutere con serenità anche con chi nel sindacato è ferocemente contrario ad una maggior regionalizzazione di un settore scolastico i cui costi gravano interamente sulle casse regionali. Ma lo scrivo senza voler rinfocolare polemiche, visto che già ne vedo troppe, che speso sono tempeste in un bicchiere d'acqua o esibizioni muscolari senza un reale perché da parte di professionisti del comunicato stampa. Trovo che di sia spesso troppa protesta, mentre le proposte latitano. Leggevo ieri le riflessioni sul "Corriere" di Nuccio Ordine, letterato e accademico, che trovo intervenga in qualche modo a difesa del corpo docente: «Pare curioso, per non dire preoccupante, che nei disegni di legge sul futuro della scuola la parola "formazione" sia sempre più legata ai metodi didattici e alla tecnologia. Ora si parla di "Scuole di Alta formazione" per organizzare percorsi di aggiornamento dei docenti in servizio. Un nuovo ente che potrà avvalersi "per lo svolgimento delle sue attività istituzionali dell'Indire, dell'Invalsi" e che potrà stipulare "convenzioni con le università, con le istituzioni Afam e con soggetti pubblici e privati, fornitori di servizi certificati di formazione". Un percorso obbligatorio per gli insegnanti - notoriamente sottopagati - con il premio di miseri aumenti salariali. Una maniera, è stato detto, per sostituire la valutazione individuale con la partecipazione ai corsi formativi. Ma siamo sicuri che sia questa la strada giusta per risollevare le sorti dell'istruzione? E' veramente necessario investire soldi - destinati anche ad agenzie private - continuando a insistere sulle tecnologie? Lo studio della didattica, che ha assunto una dimensione sproporzionata, non basta: con buona pace delle pedagogie imperanti, la conoscenza della disciplina viene prima ed è condizione essenziale». Un punto di vista che pone la giusta attenzione alla materia: «Se non si è padroni di quella specifica letteratura, nessun corso che insegni a insegnare aiuterà a preparare una buona lezione. Una pagina dei Saggi di Montaigne o un canto dell'Orlando furioso di Ariosto devono anche tradursi in una riflessione su temi e questioni che investono gli interessi dei discenti. E per evitare di scivolare in una banalizzante "attualizzazione", la scelta dei brani e i relativi commenti richiedono un grande lavoro preliminare. Innanzitutto è fondamentale conoscere bene l'opera di cui si parla. Ecco perché ai docenti bisognerebbe chiedere meno burocrazia, meno sterili riunioni, meno infruttuosi progetti, meno laboratori metodologici, per lasciare loro più tempo da dedicare allo studio della disciplina e ai propri studenti». Mi sembra un giusto suggerimento.