Per i casi della vita ci si trova a seguire questioni con diversi cappelli. Caso significativo il caso del futuro dei nostri Trafori stradali alpini, i primi che attraversarono le Alpi a metà degli anni Sessanta. Il Monte Bianco fra Italia e Francia balzò purtroppo agli onori della cronaca per il tragico rogo del 1999, dimostrando come risultasse necessario un livello ben superiore di sicurezza. In particolare si appurò come non bastassero i rifugi di sicurezza a fronte di temperature elevatissime come quella che si creano in quel tunnel nella combinazione che causò i fatti fra un Tir in fiamme e un camion vicino che trasportava margarina con un fiammata che rese inutile gli allora sistemi, anche per chi entrò in un riparo che si riteneva, a torto, sicuro. Seguii quelle vicende come deputato della Valle d'Aosta e il tema fu trovare modalità e finanziamenti per una riapertura del Traforo con un percorso che dai rifugi dimostratisi inutili consentisse agli utenti di uscire rapidamente dal tunnel stesso senza restare intrappolati all'interno.
Da presidente della Commissione Trasporti del Parlamento europeo mi occupai, con ovvia partecipazione accentuata da quel che vidi al tunnel del Bianco, della direttiva europea che rese obbligatorie una serie di misure da applicare ai Trafori già in servizio, specie quelli monotubo, e in quelli di cui si prevedeva la costruzione. Queste scelte, ovviamente migliorative, si riflessero anche sul nostro secondo Traforo internazionale, quello del Gran San Bernardo verso la Svizzera e così nacque - con trattative complesse che in parte seguii - la necessità di costruire un cunicolo di sicurezza in parallelo al tunnel stesso, per salvare le persone in transito, in caso di incendio, con una fuga resa sicura. In queste ore, dopo anni e qualche problema con l'azienda costruttrice, abbiamo inaugurato quest'opera in una rincorsa per farlo con certa burocrazia talvolta stolida, dopo una spesa di una sessantina di milioni di euro. Ma tutto è bene quel che finisce bene ed è stato possibile apprezzare questo tunnel di sicurezza in una festa in particolare fra valdostani e vallesani culminata al Colle storico sovrastante. Ciò mi ha consentito di incontrare tanti amici con cui collaboro su altri dossier che riguardano questo stesso Traforo. Sono quattro i punti fondamentali. Il primo riguarda la concessione che scade nel 2034 e che va allungata per via di ulteriori investimenti necessari per ulteriori misure di modernizzazione e di sicurezza. E' ovvio che l'infrastruttura sente il peso degli anni, essendo stato concepito negli anni 50 del secolo scorso ed aperto nel 1964. Per dare respiro finanziario le due società italiana e svizzera, unite nella "Sisex", devono avere un allungamento congruo della concessione che metta a posto i conti a vantaggio di questo itinerario che fa parte della Rete transeuropea dei Trasporti, oltre che punto di giunzione fra due comunità alpine legate da storia e cultura. Vi è poi - secondo punto - da risolvere la questione dei dieci chilometri che vanno dalla fine della Strada statale 27 dal Comune di Saint-Rhémy en Bosses sino all'ingresso del tunnel, fatti di ponti e di gallerie dai costi di manutenzione da capogiro per la società italiana che li ha in carico. L'Anas dovrebbe a mio avviso occuparsene per alleggerire i costi del concessionario in coerenza con le spese ingenti (ora si aggiungono 121 milioni di euro!) per completare sulla statale 27 la circonvallazione in galleria fra Etroubles e Saint-Oyen. Terzo punto: più marketing a beneficio di questo Traforo sia per il traffico turistico che - ragionevolmente - per il traffico pesante. Con la richiesta alla Svizzera che la strada di accesso dal loro versante, da poco diventata da cantonale a federale, venga pulita con efficacia quando nevica, quanto oggi non avviene. Percorsi fattibili, rimuovendo sordità e tempi biblici, specie in alcuni uffici romani.