Viviamo in un mondo che non sta bene. Questa storia degli assassinii di donne, uccise da uomini trasformati in belve, lascia sempre più esterrefatti e non consente più elementi di minimizzazione. E apre ad una serie di interrogativi mica da sottovalutare nella categoria più vasta degli omicidi, orribili sempre qualunque sia la vittima, ma questa delle donne nel mirino inquieta per un concatenamento evidente, giorno dopo giorno. Il quadro giuridico dovrebbe essere abbastanza definito e poi ogni volta si scopre qualche bug sin dalla denuncia fino agli accertamenti delle forze dell’ordine e ciò vale anche per la successiva catena giudiziaria con tempi e misure come reazione ai rischi che sono spesso inaccettabili, perché ci scappa la morta. In più - vogliamo dirlo senza avere paura delle parole - il fenomeno pone l’accento su problemi mentali ampiamente sottostimati, che si concretizzano con troppa facilità in gesti terrificanti, spesso anticipato da vere e proprie persecuzioni che hanno esiti finali che non era difficile immaginare. L’ultimo caso in Emilia Romagna ha visto l’incredibile commento del il Procuratore di Bologna: “Non è stata mala giustizia. Non emergeva rischio concreto di violenza”. Difatti… Ma facciamo un passo indietro. “Femminicidio” - superando la limitazione del vecchio termine uxoricidio, che riguardava solo le mogli - è un neologismo non sempre compreso e io stesso ho visto nei primi tempi una quale forzatura ideologica e rischi di sensazionalismo. Oggi credo, però, al di là delle dispute penalistiche, che l’uso del termine possa essere utile per isolare la questione per l’evidente gravità. Il termine fu coniato dalla criminologa Diana Russell, che lo usò per la prima volta 1992, nel libro Femicide, spiegandone così il significato come categoria criminologica: “Il concetto di femmicidio si estende aldilà della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito o la conseguenza di atteggiamenti o ti o pratiche sociali misogine”. In Italia il termine ha avuto un utilizzo massiccio a partire dal 2008, quando Barbara Spinelli, consulente dell'ONU in materia di violenza sulle donne prima che assumesse su vari temi le attuali posizioni eccentriche al Parlamento europeo, ha pubblicato un libro dal titolo: Femminicidio. La parola appare sul Devoto-Oli 2009, nello Zingarelli a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online si definisce così: "Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte". Forse più che una “o” finale sarebbe stato bene mettere una “e”, altrimenti di fatto il femminicidio verrebbe svuotato del suo terribile esito finale, che addolora e atterrisce.