Ultime battute di una campagna elettorale lunare, nata d’estate e che si conclude sulla porta d’ingresso dell’autunno. Lunare perché paga l’indifferenza del periodo e il fatto di essere frutto di una Legislatura conclusasi anzitempo con una coltellata alle spalle al Premier Mario Draghi. Da parte mia nessuna santificazione del Presidente del Consiglio “tecnico”, ma sarebbe stato logico andare al voto nei tempi dovuti, avvolti in più come lo siamo da problemi enormi che sconsigliavano l’instabilità. Ciò detto è inutile stupirsi: il caos politico è stata la cifra di questi anni e non bisogna essere degli indovini per prevedere che questa fibrillazione continua – da cui per altro la Valle d’Aosta non è per nulla estranea – sarà destinata a proseguire in Italia e ci sono già quelli che prevedono possibili nuove elezioni politiche in un tempo breve. Poi ci si stupisce del fatto che il primo partito in crescita sia quello degli astensionisti. Per chiarezza – e approfitto della circostanza – io voterò la lista Vallée d’Aoste, la stessa in cui sono stato eletto deputato quattro volte ed una volta parlamentare europeo. Chi segnala che io sia ancora arrabbiato per la mia mancata candidatura non mi conosce: avere memoria dei fatti e del comportamento delle persone non significa per me portare rancore, ma solo avere maggior chiarezza nei rapporti politici. Sono abbastanza vecchio del mestiere per sapere che chi sceglie la politica sa di dover affrontare momenti lieti e meno lieti e – come dice il detto – non tutti i mali vengono per nuocere. Se dovessi, comunque, pensare a che cosa oggi – nel dibattito italiano e valdostano – avrebbe bisogno di essere chiarito fino in fondo è proprio la differenza fra candidati che sono seriamente europeisti e quelli che non lo sono, compresi fra questi che quelli che furbeggiano con discorsi tipo “europeista, ma…”. Per me – che europeista lo sono da sempre – questo è un discrimine non negoziabile e non significa affatto che l’Unione europea non sia da riformare in profondità, ma resta un antidoto contro i deliri dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, unite dall’antieuropeismo. Ha ragione il politologo Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera: “Il dibattito si è concentrato sulle questioni più vicine all’attualità: la svolta autocratica in Ungheria, la guerra in Ucraina, l’eventuale rinegoziazione del Pnrr. Si è così perso di vista lo sfondo più ampio del nostro rapporto con la Ue, in particolare il ruolo cruciale che l’appartenenza europea ha svolto nel tempo per l’Italia”. Per questo nel proseguo dell’articolo ricostruisce il cammino dal 1957 ad oggi, la cui sintesi condivido a pieno: “La scelta europea è stata conveniente? Oggi c’è chi ne dubita, ma secondo la stragrande maggioranza degli studiosi l’appartenenza alla Ue ha portato enormi benefici nel lungo periodo. Certo, l’Europa è una unione di Stati con interessi diversi. L’integrazione procede in base a compromessi, a volte si vince a volte si perde. I rapporti di forza dipendono molto dalla stabilità e dalla autorevolezza dei governi: due aspetti rispetto ai quali siamo sempre stati particolarmente deboli”. Se ora governassero gli antieuropeisti all’italiana l’Italia verrebbe messa da parte e lasciata ad un destino di solitudine letale. Scelta terribile per una Regione come la nostra ad antica tradizione europeista, che dall’Europa ha avuto un mare di soldi da spendere e che vanta una posizione geografica che guarda naturalmente al resto d’Europa e certo non vorrebbe trovarsi ad essere una sorta di “cul de sac” di un’Italia chiusa nei suoi confini con un nazionalismo da operetta tinto di un nero inquietante per chi conosca la Storia.