È molto difficile riuscire a miscelare nella propria vita, fatta salva la necessaria fortuna, momenti lieti e preoccupazioni incombenti. Capita, anche in chi fa politica, di trovarsi con degli assilli. Per assillo si intende uno stimolo tormentoso che perseguita chi soffre di una grave preoccupazione. Non a caso la parola indicava in origine insetti fastidiosi, come il tafano, che ti ronzano attorno e ti morsicano. Ci pensavo rinvenendo sul Corriere della Sera due articoli su due miei assilli che mi tormentano di questi tempi. Sulla crisi demografica Roberto Volpi: ”Le previsioni 2022 della Population Division, Dipartimento dell’Onu che si occupa di studiare e fornire presente e tendenze future della popolazione di ciascun Paese e area geografico-territoriale del mondo, suonano come una campana a morto per l’Italia. E non intendere la gravità di questo suono è cosa che non sarà perdonata. Perché i dati non possono più essere ignorati, alla luce della loro assoluta gravità“. E più avanti: “Siamo dunque finiti, visto che la contrazione delle nascite non si arresta — tanto che il record delle minori nascite di sempre verrà toccato con ogni probabilità proprio in questo 2022 — in un vicolo cieco? In una strada senza sbocchi? Sì, quasi. Se non del tutto. La differenza tra quasi e del tutto sta in quel che farà o saprà fare o vorrà fare la politica. Per la fine del secolo la speranza di vita alla nascita, altrimenti detta vita media, sarà per gli italiani di 93,5 anni, ormai non così lontana dal secolo. Saremo per questo parametro secondi soltanto al Giappone, che sfonderà la soglia dei 94 anni. Ma c’è poco da festeggiare perché i processi della continua riduzione della popolazione e del suo sempre più spinto invecchiamento non sono che le due facce della stessa medaglia: il dislivello abissale tra nati e morti“. Lo studio fatto in Valle d’Aosta con l’ausilio dell’Università cattolici conferma anche per noi tempi cupi. Sposto di poco lo sguardo sulla pagina del giornale e incappo in un altro assillo con Monica Ricci Sargentini: “La notizia che la giustizia britannica considera Instagram e Pinterest responsabili del suicidio di una quattordicenne è l’occasione per riflettere sull’uso che i giovani fanno di smartphone e videogiochi. Negli ultimi sei mesi della sua vita Molly Russell aveva visto o condiviso, solo su Instagram, 2.100 post a tema autolesionismo, suicidio, depressione. L’autrice cita a proposito uno studio: “«Coca Web» è il titolo del libro, uscito quest’anno, del senatore e giornalista Andrea Cangini in cui vengono presentati i risultati dell’indagine condotta dal Senato sul rapporto tra tecnologia digitale e giovani. Ne esce fuori un quadro agghiacciante. «Per la prima volta nella storia dell’umanità, le nuove generazioni mostrano un quoziente di intelligenza inferiore a quello delle generazioni che le hanno precedute. Calano le facoltà mentali dei più giovani, aumenta il loro disagio psicologico» scrive Cangini nell’introduzione. Gli esperti sono concordi nel mettere in relazione la mancanza di concentrazione e di memoria, la depressione e i disturbi alimentari con l’uso di social e videogiochi. I Giganti del Web hanno, dunque, un potere di condizionamento e di manipolazione senza precedenti”. Ovvio l’interrogativo conclusivo, stesso mio assillo: “Come contenerlo? Ciascun genitore si è posto il problema ma non abbastanza se consideriamo che in Italia sono tantissimi i bambini che usano il cellulare persino in età prescolare. Nella legislatura appena finita Cangini aveva presentato un progetto di legge per vietare l’uso degli smartphone ai minori di 14 anni. Una misura draconiana? L’anno scorso la Cina ha limitato a tre ore settimanali l’uso dei videogiochi ai minorenni. La realtà è davanti ai nostri occhi, domani nessuno di noi potrà dire: «Io non sapevo»”. Non a caso sul tema c’è stato su Huffpost un intervento interessante di Guido Scorza che dice: ”Internet, l’ecosistema digitale, le app e i social media, infatti, non sono mai stati disegnati, progettati e sviluppati a misura di bambino e, pertanto, se un bambino li usa corre rischi imponderabili e, soprattutto, dai quali non c’è nessuno che possa effettivamente proteggerlo”. Certo la logica delle limitazioni contro i rischi di dipendenza è una prima strada assieme ad una educazione a tappe per un uso consapevole.