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16 ott 2022

Guardando a Roma

di Luciano Caveri

Il confronto fra idee diverse è importante. Se il dialogo è finto, perché ci si limita ad esporre il proprio pensiero senza prestare attenzione a tesi altrui, allora la democrazia in quanto tale si inaridisce e finiamo, come spesso vedo fare, in una lunga serie di comizietti rivolti ai propri elettori e per null’altro utili. L’attuale situazione politica italiana mi pare partita male. L’elezione di due “estremisti” alla Presidenza delle Camere - al Senato Ignazio La Russa coi trascorsi neofascisti e alla Camera di Lorenzo Fontana che dice cose gravi sui diritti civili - appare esemplare della scelta di rottura da parte del centrodestra, che si è pure ritrovato franchi tiratori. È passata in fretta l’idea che pareva avere avuto la stessa Giorgia Meloni di dare una delle due Presidenze all’opposizione. Altrettanto importante è scrutare segni che emergono dalla società verso la Politica e spesso utilmente proposti da commentatori arguti. Penso ad Antonio Polito su Sette, quando dice: “Consumiamo ormai le leadership quasi più velocemente di come le costruiamo. (…) Forse non è solo colpa del cittadino che va troppo veloce e brucia i tempi. Magari è anche la democrazia che va troppo lenta. Il 13 ottobre si sono insediate le Camere. Gli italiani ci hanno messo un solo giorno ad eleggere i parlamentari. Loro ci hanno messo diciotto giorni per riunirsi. So perfettamente che ci sono mille buone ragioni perché si prendano il tempo che ci vuole: controlli, proclamazioni, telegrammi di convocazione, formalità varie. Ma intanto, nell’attesa, non solo non può nascere un governo che è già stato partorito dalle urne, ma comincia addirittura a logorarsi prima ancora di esistere: nelle indiscrezioni sui ministri, nei contrasti programmatici, nelle liti vere e presunte. E d’altra parte non è che la burocrazia finisca con l’apertura del Parlamento: voi non ci crederete ma l’ultima volta la convalida degli eletti al Senato è arrivata anni dopo, ben oltre la metà della legislatura”. Così chiude: “Attenzione, quest’ansia di velocità non è un vezzo modernista. Il contrasto tra il “tempo reale” in cui ormai viviamo e il “tempo istituzionale” in cui vive la politica diventa infatti sempre più dannoso per la reputazione della democrazia: come se fosse una cosa di un’altra epoca, e dunque abbastanza inutile. Oggi le cose si vedono mentre accadono, e l’opinione si forma mentre accadono. La lentezza è una condanna per chiunque. Nessuno del resto comprerebbe un’automobile che promette una velocità di crociera di 130 orari e poi non supera i 60. Se dunque volete salvare e rilanciare questa nostra malata ma amata e necessaria democrazia, cari parlamentari appena insediati: datevi una mossa”. Ammonimento che non vale solo in Italia… Salto di palo in frasca per dire dell’utilità degli spunti per confrontarsi. Ne scrive su Il Fatto Giovanni Belardelli: ”Non si può non notare che Giorgia Meloni, nei suoi discorsi e nelle sue affermazioni pubbliche, utilizza spesso la parola “nazione” per riferirsi a ciò che più comunemente viene da tempo definito come “paese” (o il “nostro paese”). Si tratta di una parola abbastanza desueta nel linguaggio comune, il cui impiego avrà meravigliato qualcuno e indotto magari qualcun altro a collegarla alla tradizione politica da cui la probabile prossima presidente del Consiglio proviene, quasi che il termine abbia una chiara connotazione di destra. Non è esattamente così. Anzitutto va ricordato che la parola veniva utilizzata senza problemi nella nostra Costituzione (e pure con la maiuscola), ad esempio nel fondamentale art. 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ben presto si trovò però a essere impiegata sempre meno, soprattutto perché molti la mettevano in relazione con l’uso e l’abuso che ne aveva fatto il fascismo e le preferivano dunque il termine “paese” “. Mi permetto di dire che sarebbe meglio, alla francese, parlare di Repubblica, ma capisco che nazione si sposa in Meloni con il pensiero sovranista e naturalmente centralista, che dovrebbe far tremare i Governatori leghisti che rivendicano un’autonomia differenziata e preoccupare pure noi che speciali lo siamo già e saremo assai probabilmente nel mirino. Il nazionalismo senza federalismo fa paura.