Occorre avere l’attenzione giusta rispetto alla recentissima nascita del Governo Meloni per capire dove questa prima donna al comando - distantissima dai miei ideali di Presidente del Consiglio - porterà l’Italia. Ha un suo bagaglio culturale che certo obbliga alla vigilanza e che lei tende a oscurare, contando sulla scarsa memoria degli italiani, che comprende anche la Storia nei suoi tratti più dolorosi, Fascismo compreso. Bisogna, avendo contezza della realtà, affrontare i temi da risolvere nel confronto con Roma, senza svendere le proprie convinzioni e in primis l’adesione - per me indefessa - al credo autonomista e federalista. Con ogni Governo nazionale con cui mi sono confrontato, quando fui deputato, partivo da un semplice elenco dei temi necessari per la Valle d’Aosta, che ho ritrovato anche in alcune agendine di allora, e che consegnavo in bella copia con il Senatore coéquipier anzitutto al Presidente incaricato prima della formazione del Governo (incontri annullati dalla Meloni con scelta discutibile). Argomenti che ripetevo in aula e persino allegavo ai resoconti parlamentari al momento della fiducia. Da questo elenco toglievo il tema quando veniva risolto e appuntavo in corso di Legislatura novità con priorità per questioni sopravvenute. Poi mi mettevo al lavoro, punto e basta, dentro alla Camera per leggi specifiche o norme utili da infilare dove si poteva, adoperando quando utile il sindacato ispettivo e incontri vis à vis necessari per illustrare le nostre ragioni. Tutto ciò prescindendo dal colore politico del mio interlocutore, spiegando le necessità in modo circostanziato. Cosa più facile con persone con cui eri in lunghezza d’onda, più difficile con altri. Questa è politica: interlocuzione e ricerca di punti d’incontro con gentilezza ma anche, se necessario, battendo i pugni sul tavolo e soprattutto cercando alleanze ed essendo sempre presenti quando ci vuole. Detto così sembra semplice, ma non sempre lo è stato. Quel che contava è farsi conoscere e conoscere, stando a Roma tutto il tempo necessario e senza preclusioni anche con Ministri che pure non ti piacevano. Rivendico un buon tasso di successi e il fatto di cui vantarmi di essere stati a Montecitorio ”il valdostano Caveri”, che era quello che dovevo essere. Sugli indirizzi di questa Legislatura, in senso più vasto, mi riconosco bei filoni indicati sul Corriere dal sempreverde Sabino Cassese. Il primo: ”L’esecutivo non potrà continuare pratiche che una parte di esso ha criticato dall’opposizione, come le troppe richieste di voti di fiducia per abbreviare l’esame parlamentare degli atti di iniziativa governativa. Più in generale, la bilancia dei rapporti Parlamento-governo dovrà ritornare a pendere dalla parte del Parlamento. E questo produrrà il ripristino del «figurino» costituzionale, tradito negli ultimi decenni dalla «Costituzione vivente»”. Il secondo: « Da molti anni, in un continuo crescendo, ministri della difesa, dell’economia, dell’agricoltura, dell’industria, della cultura, del turismo, del lavoro, sono chiamati a rappresentare gli interessi nazionali in consessi internazionali, nei quali occorre esser presenti e ben preparati, per far sentire la voce dell’Italia, per negoziare con perizia, per saper proporre compromessi ragionevoli”. Il terzo: ”Un altro cambiamento importante nel sistema di governo italiano è quello che deriva dall’esperimento regionale, che ha ormai raggiunto il mezzo secolo di vita. I governi nazionali debbono, in molte materie, non solo quelle definite concorrenti, informarsi reciprocamente, discutere, negoziare, co-decidere con le regioni. E questo si è visto molto bene durante la pandemia, quando le regioni, anche perché forti del loro sistema presidenziale, hanno fatto la voce grossa con i governi nazionali. Una modifica del regolamento del Senato, apportata nel luglio scorso, prevede che la Commissione parlamentare per le questioni regionali possa invitare rappresentanti delle regioni a partecipare alle sedute della Commissione stessa. Questo è un altro raccordo a disposizione anche del governo, per evitare un eccesso di conflittualità centro-periferia. Gli esecutivi statali, in sistemi policentrici come quelli contemporanei, articolati in tanti governi sub-nazionali e ancora più governi sovra-nazionali, costituiscono un punto di snodo essenziale. Sono tirati da una parte e dall’altra. Proprio per questo hanno acquisito un potere che durante il periodo dei «governi di assemblea» non avevano. Questo richiede non solo tanto lavoro, ma anche la capacità di «aggiustare il tiro» per adeguare strutture e azione di governo ai nuovi contesti. Una delle prime regole di ogni governo è di non rimanere prigionieri delle questioni urgenti, che tendono sempre a prendere la mano a quelle importanti”. Parole sagge e speranze importanti, che vedo difficilmente realizzabili, ma lo scrivo senza pregiudizi e dunque vedremo dal vivo gli eventi e gli esiti conseguenti.