"Ne pas céder aux professionnels de la peur". Questa espressione di Emanuel Macron, Presidente della Repubblica francese, mi è molto piaciuta ed era riferita a certe furiose polemiche scaturite dalla riforma pensionistica in discussione in questi giorni in Francia. Questa evocazione dei “professionisti della paura” è del tutto convincente. Ne incontro tutti i giorni: sono i catastrofisti che vedono il male dovunque, senza distinzioni. E questo non ha nulla a che fare con le critiche giuste o le denunce fondate. Anche in Valle d’Aosta non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ogni giorni io stesso cerco, nei campi di cui mi occupo, di mettere a posto cose che non funzionano o fare in modo che si rivolvano bene certi problemi. Incontrando cittadini che abbiano ragioni di protesta o preoccupazioni fondate, aumenta la consapevolezza di chi ha responsabilità e non deve nascondere come uno struzzo la testa sotto la sabbia o difendere l’indifendibile. Ma questo non ha nulla a che fare con chi le proteste le crea e le alimenta in modo pretestuoso e ripetitivo, occupandosi di tutto lo scibile umano con una militanza ossessiva e compulsiva. Chi così si comporta, per partito preso e nella spasmodica logica di occupazione di spazi, merita disistima e compatimento, per non dire di peggio. Già viviamo in un mondo difficile in un periodo complesso e se ci aggiungiamo chi complica lo scenario e strumentalizza le situazioni non facciamo altro che peggiorare la situazione. Spunta così dal passato una vecchia definizione sempreverde, così riassunta da Treccani: “aġ’ìt pròp: locuz. russa [abbreviazione del sostantivo agitacija «agitazione» e propaganda, con il significato di «sezione per l’agitazione e la propaganda» (nei Comitati del partito comunista sovietico)”. In italiano è diventato àǧit pròp›) e cioè agitatore e propagandista politico. Tutto, insomma, viene piegato da costoro a logiche di parte e ad una visione ideologica che serve a proprio uso per caricare i propri militanti e creare sacche di protesta da attrarre nella propria area politica. Si perde la logica democratica del confronto, cavalcando qualunque tipo di protesta e anzi gettando benzina sul fuoco piuttosto che cercando soluzioni o mediazioni alle questioni. Diceva George Orwell: “La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante come trovare riparo durante un attacco aereo”. Mentre Simone Weil aggiungeva: “Lo scopo manifesto della propaganda è la persuasione, non la comunicazione della luce”. Naturalmente, ma questo l’ho detto mille volte, i Social peggiorano la situazione, consentendo spazi di manovra e di amplificazione un tempo impensabili. Di conseguenza agguerrite minoranze fanno squadrismo e gonfiano le loro truppe in modo organizzato e mirato. Ci vuole poco a fare tendenza e a costruire castelli in aria o ad artefare la realtà, naturalmente ergendosi come paladini della libertà di opinione e atteggiandosi a coraggiosi fustigatori di qualunque cosa capiti loro a tiro. In democrazia vanno isolati per l’intrinseca pericolosità e per le loro azioni distorsive che nuocciono e per la zizzania che seminano a piene mani. Specie in momenti che già di per sé stessi obbligherebbero a cercare più ciò che unisce rispetto a quel che divide: si tratta dunque di un’inutile complicazione, che fa perdere tempo ed energie.