Vivo senza Facebook e sono sopravvissuto felicemente, pensando come ci siano altre modalità per comunicare e occasioni più efficaci per indagare i misteri dell’animo umano e la complessità delle relazioni sociali. Per anni a dire il vero avevo pensato di entrarci e avevo persino creato un profilo rimasto morto. Poi ho preso tempo e infine, come dicevo, ho coscientemente desistito. Par di capire che si tratti di una scelta di serenità, che mi ha convinto a restare nel più tranquillo mare di Twitter, sinché resisterà l’uccellino blu è garanzia di una certo maggior civismo nel comportamento. Poi chissà quali evoluzioni la tecnica ci fornirà: forse una vera Agorà elettronica, come ci ha promesso e per ora deluso il famoso Metaverso. Ogni tanto, tuttavia, qualcuno più prosaicamente mi segnala quando mi attaccano su Facebook con qualche commento. In genere sono cattiverie, frutto quasi sempre di vecchie ruggini e qualche invidia. “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, diceva il Sommo Poeta. Siamo nel canto III dell’Inferno e Dante se la piglia con gli ignavi ovvero coloro che sono stati in vita persone incapaci di scelte e di impegno. Ora vengono costretti a inseguire un vessillo bianco, mentre vengono punti in continuazione da insetti ripugnanti, come anime che non meritano né infamia né lode. Molte losche figurine che campeggiano sui Social, spesso anonime, lo meriterebbero. Per altro se non leggo Facebook, perché dovrei - relata refero - arrabbiarmi? Ho imparato nel frattempo che i più rosiconi sono, spesso appunto ignavi, quelli che in politica c’erano stati e ne sono usciti anzitempo e attaccano chi è in carica per la loro struggente nostalgia nel non esserci. Il veleno negli scritti, se davvero si dimostra un elemento terapeutico, va valutato positivamente, quando serve a canalizzare così rabbia e frustrazioni. In certi casi si crea persino un livore da vecchio collettivo sessantottino e gli attacchi diventano comunicato stampa di partito, che ricordano certi volantini ideologizzati della mia giovinezza, fatti con il ciclostile del tempo che fu. Fa sorridere, per sdrammatizzare, un celebre aneddoto. Si tratta di una battuta di Ettore Petrolini: un giorno il celebre comico venne fischiato dal loggione. Lui si avvicinò allo spettatore e gli disse in romanesco: «Io nun ce l’ho cò te ma cò quelli che te stanno vicino e nun t’hanno buttato de sotto»”. Sono d’accordo che in certe occasioni - lo vedo anche in Consiglio Valle quando qualcuno trascende - andrebbe creato un vero e proprio cordone sanitario. Ci sono casi - e proprio i Social sono un campo fruttuoso di esempi - in cui la ribellione alla maleducazione e peggio alle cattiverie dovrebbe essere patrimonio comune non tanto a difesa del simbolo quanto di principi di rispetto e di educazione. Questo non vuol dire frustrare la sana polemica, cui non mi sottraggo mai, quanto fissare dei confini di civiltà e di quieto vivere. Ormai viviamo in un’epoca di parolacce e alcune sono utili scorciatoie per sveltire la discussione d’un botto. Sono cresciuto in una società in cui la parolaccia non era così liberalizzata. Per cui ricordo da bambino di aver assistito a discussioni fra adulti in cui l’epiteto letale era contenuti nell’affermazione: “Sei ignorante!” oppure “Sei stupido!”. Con la differenza che l’ignoranza la puoi curare, meno si può fare per la stupidità, che si dice - nel vissuto popolare - che sia a sua volta peggio della cattiveria. Spero si capisca la ricerca di un minimo di ironia su di un tema comunque serio.