Nell’immaginario collettivo la Svizzera, anche se può essere considerato uno stereotipo, resta il Paese delle banche sicure e tornerò sul punto. Certo per noi valdostani è ben altro: è e resta uno Stato alpino intriso di quel federalismo che consideriamo il modello politico-istituzionale di riferimento. I padri fondatori della nostra Autonomia lo hanno scritto in tutte le salse. Ma la storia comune, per via del confine così poroso nel corso dei secoli, ha avuto tappe grandiose. Ne cito due che attraversano il tempo: dalla possibilità cinquecentesca un po’ fumosa di una Valle che scegliesse la Svizzera per il proprio destino, ma rimase con Casa Savoia, al concreto lavoro comune con i fondi Interreg del presente quadro di cooperazione transfrontaliera con la Svizzera. Certo per noi in più la chiave di lettura è il rapporto amichevole con i vallesani, sia francofoni che germanofoni. Un Santo valdostano in comune, San Bernardo di Aosta, con il simbolo del Colle del Gran San Bernardo e del suo Ospizio. Per non dire del Cervino e del Monte Rosa, compreso il comprensorio Valtournenche-Zermatt con le future progressioni verso Ayas e le terre dei walser. C’è poi la passione per le reines che ci lega, così come il patois e i vitigni antichi. Vero è che ogni tanto capita di notare in certi amici svizzeri una certa sufficienza, come se il loro modello elvetico fosse il meglio possibile e la comparazione ci vedesse sempre perdenti, anche se viene quasi sempre detto sul filo dell’ironia. Ecco perché mi incuriosisce la riflessione in corso dopo la botta della crisi del Credit Suisse. Scrive il direttore del Corriere del Ticino, Paride Pelli: “Lasciamo da parte, solo per un momento, le infinite considerazioni tecniche e le analisi macroeconomiche, finanziarie e manageriali che in questi giorni stanno inondando i media di tutto il mondo e continueranno a farlo. Torniamo invece alla nostra identità, al nostro cuore di svizzeri e di ticinesi, ai nostri ricordi d’infanzia, e diciamoci la verità: quello che è accaduto nelle ultime ore è un inconcepibile disastro. L’unico modo per alleviarlo è che almeno sia di insegnamento per il futuro, anche se qui, purtroppo, si aprono molte incognite. Stiamo parlando - ça va sans dire - della vicenda Credit Suisse, la «compagnia di bandiera» del sistema bancario svizzero, il più elvetico tra tutti gli istituti e uno dei più antichi, certo il più rappresentativo: oggi finito nella polvere, ma c’è chi dice anche nel fango, e non senza qualche ragione”. E ancora: “Ci vorrà tempo per risalire la china e tornare a guardarci, e a farci guardare, con una certa considerazione. Quando un simbolo nazionale – perché a tutte le latitudini tale era Credit Suisse – collassa in questo modo, non si può far finta che si tratti di una sferzata di vento passeggera che ha fatto crollare un edificio già malmesso di suo. Certo, ci siamo risollevati dal fallimento di Swissair - che era stata per lunghi anni la miglior compagnia aerea al mondo, un esempio da imitare - dal salvataggio in extremis di UBS da parte della Confederazione quindici anni fa e ci risolleveremo anche da questo tracollo grazie alla resilienza tipicamente svizzera”. Una coraggiosa scelta di autocritica: “Ma, come si diceva, occorre imparare dagli errori che in questi giorni sono balzati sotto i riflettori. Sui passi falsi di Credit Suisse e la relativa frastagliata storia reputazionale della banca, lasciamo l’incombenza a storici ed economisti. Qui vogliamo parlare degli altri due aspetti: comunicazione e fiducia. Circa la prima, tutti gli attori privati e istituzionali coinvolti nel naufragio degli ultimi giorni hanno dimostrato, chi più chi meno, di procedere a tentoni in un momento di altissima pressione. Probabilmente pochi si aspettavano uno tsunami simile e non era stata elaborata una strategia comunicativa capace di contenere con mano ferma le derive, non solo speculative, che abbiamo visto. Mai come al giorno d’oggi – un’epoca in cui cospicui patrimoni si possono spostare da una banca all’altra con un click sul telefonino – la comunicazione è anche sostanza. Esempi passati non ne mancano e anziché sperare che alcuni disastri non si ripetano più, sarebbe auspicabile comunicare meglio ai mercati le proprie decisioni, sapendo che ogni onda, in una tempesta del genere, nasconde un potenziale scoglio”. Gli choc ogni tanto si dimostrano salutari quali occasioni per risvegliare le coscienze.