Quando sono andato a scuola, mi hanno chiesto cosa volessi diventare da grande. Ho risposto “felice”. Mi dissero che non avevo capito l’esercizio e io risposi che loro non avevano capito la vita. (John Lennon)
Non avere tempo da perdere fa parte, nel mio caso e non sempre è positivo, di un’eredità paterna, che so essere a sua volta ereditata. Dico che non so se sia sempre un bene questo affaccendarsi, perché in fondo esiste qualcosa di eccessivo nel riempire gli spazi, avendo anche l’ozio come spazio alternativo su cui bisogna riflettere con attenzione. Forse ci vuole una via di mezzo come sinteticamente espresso da Erich Fromm: “Da solo, il lavoro a ritmo ossessivo ridurrebbe gli esseri umani alla follia esattamente come l'ozio completo; grazie alla combinazione dei due elementi, essi riescono a vivere”. Già, come tante altre cose, la via mediana. A questo, in questo periodo in cui misuro di più il tempo che passa, cercherò di uniformare in modo più compiuto la mia vita, facendo gli scongiuri perché certo non abbiamo nelle nostri mani i nostri destini, se non per una sola parte. Il tempo è una strana cosa e ogni giorno constatiamo quel che si dice nel celebre libro di Lewis Carrol: “Alice: «Per quanto tempo è per sempre?». Bianconiglio: «A volte, solo un secondo»”. Da giovane non ci pensi, ritenendo - e per molti che ho conosciuto si è rivelata un’illusione - di avere di fronte a sé uno spazio ampio. Poi i decenni galoppano e lo fanno sempre più in fretta, cosicché ad un certo punto risulta ancora più vero, quando ti inoltri molto avanti, quanto scritto da Mark Twain: “Tra vent’anni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. Perciò molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri”. Mi sembrano a qualunque età dei buoni propositi, che possono avvenire andando chissà dove o restando anche nella propria stanza. Mi ha sempre colpito, avendolo amato come autore da ragazzino, la capacità di raccontare storie di quel bizzarro personaggio che fu Emilio Salgari. Pur ambientando le sue opere nella giungla indiana, nei deserti africani, o nei mari delle Antille, Salgari non aveva mai viaggiato fuori dall’Italia e scrive le sue storie documentandosi su atlanti e libri cercati in biblioteca, con ricerche approfondite e piene di curiosità. Tutto comunque resta legato al futuro, come sempre e per fortuna ognuno di noi è un pezzo di un insieme più vasto e ognuno lascia qualcosa di sé nomi non solo alle persone cui si vuole bene. Lo scriveva Karl Popper: “Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”. Già, questo avvenire insondabile che mischia speranze e preoccupazioni. È sempre stato così e altri prima di noi lo hanno affrontato. Contano i legami, scrive Jorge Luis Borges: “Non sai bene se la vita è viaggio, se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno dopo giorno e non te ne accorgi se non guardando all’indietro. Non sai se ha senso. In certi momenti il senso non conta. Contano i legami”.