Intanto, Buona Pasqua! Non conosco l’identità di chi frequenta questo mio Blog Ma negli anni ho incontrato molte persone che lo leggono e questo mi fa piacere. Accomuno tutti in un pensiero affettuoso. Non so se sia la primavera in sé o chissà cos’altro, quel che certo è che questa festività, pur mobile sul calendario, è per tutti e comunque la si interpreti un momento per tirare il fiato rispetto agli affanni quotidiani. Per cui mi adeguo e userò lo spazio intanto per la descrizione di queste mie prime ore. Quando un’abitudine si installa nella vita diventa una tradizione. E così avviene anche oggi al risveglio con le uova. Nelle settimane precedenti si accumulano o per acquisto o per regalo un certo numero di uova di Pasqua, che - a differenza della mia infanzia, quando c’erano solo cioccolato al latte e quello amaro - diventano l’attrazione cui dedicarsi, fatta ormai di diverse varianti di gusti, frutto dell’’ingegno dei maîtres chocolatiers. Ebbene, a casa nostra si mettono uova sul tavolo, pronte al sacrificio e spogliate del loro involucro (ormai usato per celare taglie piccole delle uova, risparmiando sul cioccolato), e poi si procede alla loro sopressione con scorpacciata. Ma di cosa? Cioccolato o cioccolata? Così scrive Matilde Paoli dell’Accademia della Crusca: “Del problema dell'oscillazione con cui è reso in italiano il termine di origine amerindia (nahuatl chocolatl), giunto in Europa tramite lo spagnolo chocolate, si è occupato Bruno Migliorini in un saggio datato 1940 dal titolo Cioccolata o cioccolato? (Profili di parole, Firenze, Le Monnier 1968, pp. 46-56). A cioccolate, forma introdotta da Francesco Carletti nei primissimi anni del Seicento e confermata nel 1620 dal Vocabolario italiano e spagnolo di Lorenzo Franciosini, si affiancavano cioccolatte, cioccolata e cioccolato già prima della fine del secolo: nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) si registra la voce cioccolate con la glossa "Dicesi anche più volgarmente cioccolata" e alla voce ingrediente compare cioccolatte in una citazione da Esperienze intorno a diverse cose naturali di Francesco Redi. Più avanti: “Solo nel corso del Novecento ci si avvia verso una semplificazione che, a livello dialettale, si risolve rapidamente nella riduzione a un unico termine: "Il Piemonte e il Veneto, l'Emilia e la Toscana, Roma, Napoli, la Sicilia hanno optato per il tipo cioccolata, o per una forma dissimilata plebea che non è mai giunta all'uso scritto, ciccolata. Invece la Lombardia ha preferito il tipo cioccolato; la Sardegna, infine, il tipo cioccolate" (Migliorini, Ibid. p. 54)”. Questo dotto Migliorini concludeva il suo saggio con una previsione: "Si tenga presente la diffusione grandissima, in quasi tutta l'Italia, della forma cioccolata per la bevanda; e si veda d'altro lato con quale uniformità gl'industriali usino la forma cioccolato per il preparato in tavolette: negli avvisi pubblicitari si legge quasi costantemente cioccolato. L'uso delle due forme è storicamente giustificatissimo, e d'altra parte la differenza fra cioccolata in tazza e cioccolato in tavolette (o in polvere) è funzionalmente utile; la diffusione che essa ormai ha nel campo industriale ci fa credere che sia destinata a imporsi generalmente". Insomma: la cioccolata sarebbe più bevanda, ma se parliamo in giro mi pare che la confusione resti. L’autrice della Crusca cita questa realtà: “Tullio de Mauro, edizione 2007, cioccolata e cioccolato, entrambi termini di alto uso, sono sostanzialmente sinonimi, sia come sostantivi, col valore di 'alimento costituito da una miscela di cacao e zucchero, con eventuale aggiunta di aromi, essenze o altre sostanze che viene venduto in polvere o sotto forma di tavolette, cioccolatini', sia come aggettivi invariabili nell'accezione 'di colore bruno scuro'; ma la differenza rilevata sul piano del rapporto con altri elementi lessicali e cioè l'esclusività del sintagma cioccolata calda da un lato e di cioccolato fondente, al latte, bianco dall'altro". Siete frastornati: direi che ci si può come consolazione dedicare all’uovo e sperare nella sorpresa, che ha il marchio sabaudo. Torino fu la prima città d'Italia in cui arrivò il cioccolato nel '500 portato dalla spagnola duchessa Caterina, moglie del duca Emanuele Filiberto di Savoia, dopo la scoperta dell'America. Sempre a Torino ad inizio '900 venne brevettata la produzione seriale delle uova di Pasqua di cioccolato grazie ai pasticceri di Casa Sartorio che idearono uno stampo a cerniera chiuso che, messo in un'apposita macchina capace di ruotare velocemente, poteva distribuire il cioccolato uniformemente creando due mezze uova complementari che, una volta raffreddate, potevano essere decorate a piacere prima di essere assemblate creando il vero e proprio uovo di Pasqua. Questo consentiva anche di inserire nell'uovo una sorpresa, usanza che si diffuse molto velocemente fino al boom dal dopoguerra in poi. La sorpresa mi riporta allo stupore dell'infanzia. La parola "sorpresa" (dal francese "surprendre, cogliere inaspettatamente" e quindi "meravigliare") sorprende! E' infatti una parola come un Giano bifronte, per cui si può fare una sorpresa e la si può ricevere e ormai mi pare che la usiamo più nelle accezioni positive che in quelle negative (la triste "brutta sorpresa"). Oggi dedichiamoci alla sorpresa…buona!