Invecchiare è una rottura di scatole, ma è sempre meglio che essere morto. Constatazione lapalissiana, ma di cui ti rendi conto appunto solo invecchiando. Quando ti accorgi, come su di una scacchiera, di quanti pezzi scompaiano attorno a te e tu - per tua fortuna - sei rimasto ancora lì. Più vai avanti e più - immagino - questa sensazione si rafforza. Ricordo mio papà, per sua fortuna ultraottantenne, quando diceva nell’ultimo tratto della sua vita quanto gli mancassero e lo diceva con sincero sgomento tutti gli amici scomparsi e anche i suoi fratelli e sorelle che lo avevano lasciato solo. Mi riconosco in due frasi. La scrittrice e filosofa Susan Sontag: “La paura di invecchiare viene nel momento in cui si riconosce di non vivere la vita che si desidera. Equivale alla sensazione di abusare del presente”. E il grande Albert Einstein in una lettera allo psichiatra Otto Juliusburger: “Le persone come Lei e come me, anche se ovviamente mortali, non invecchiano nemmeno se vivono molto a lungo. Intendo dire che non smettiamo mai di osservare come bambini curiosi il grande mistero nel quale siamo nati”. Ci penso ogni volta che incontro le giovani generazioni. L’ho sempre fatto e, avendo cominciato prima a fare il giornalista (mantenendo sempre aperta questa porta) e poi politica quando ero poco più che ragazzo, c’è stato un lungo periodo in cui il giovane ero io rispetto al mondo che vivevo. Quindi convivevo in ambienti in cui erano tutti più “grandi” di me con la straordinaria sensazione di poter acquisire, come una spugna che si imbeve, le tante cose che sapevano e, nel contempo, mantenere un rapporto stretto e facile con i miei coetanei e il “nostro” modo di pensare. Oggi naturalmente questa osmosi bicefala non esiste più e spero di poter essere considerato chi ha esperienza e riesce a trasferirla ad altri, affinché quanto ho appreso non resti un mio fatto personale, ma possa in qualche maniera risultare utile nel trasferimento delle competenze acquisite per quello che ho fatto nella mia vita. Ci pensavo in queste ore - ma il pensiero è ricorrente in molte altre occasioni quotidiane - in cui sono stato con alcuni ragazzi in visita ad Auschwitz e ha avvertito naturalmente il venir meno di quella facilità di dialogo che avevo decenni fa. Mano a mano che ti allontani dalla età giovanile e meno arrivi a capire le trasformazioni mentali e sociali di chi è giovane oggi e bisogna sforzarsi di evitare di diventare un laudator temporis acti. È orribile qualunque approccio meramente nostalgico e lo odiavo quando ventenne incontravo chi viveva solo di ricordi e cercava in più di sostenere l’esistenza di un passato sempre migliore del presente, creando un solco spesso incolmabile fatto di reciproche incomprensioni. Una puzza di naftalina insopportabile e spesso con la presunzione e la sicumera di indicare a chi è più giovane strade ormai incoerenti con i cambiamenti avvenuti e in corso. Mentre, per non spezzare il filo del dialogo reciprocamente utile, ci vogliono comprensione e umiltà, sapendo quanto è o sarebbe utile evitare un mondo in cui il nuovismo sia un esercizio inutile. Mi spiego: è ovvio che molto cambi e le innovazioni di tutti i generi sono per fortuna una delle forze della nostra umanità, ma il passaggio di testimone fra generazioni deve avvenire senza buttare via improvvidamente quanto di utile c’è stato e il patrimonio di conoscenze va considerato un’utile eredità su cui ogni epoca deve costruire un proprio modo di essere. Così è sempre stato. Ecco perché ad Auschwitz e Birkenau ho detto ai giovani presenti quanto può apparire banale, ma non lo è affatto. E questo è avvenuto dopo una visita lunga e accurata grazie ad una guida competente, che ha ricostruito senza omissione alcuna quanto avvenne nel campo di sterminio non solo nei suoi aspetti descrittivi, ma anche morali e politici. E cioè, con grande semplicità, di fronte a certe categorie contrapposte e pur complesse, tipo Odio-Amore e Male-Bene, bisogna tenere fissa una bussola che ci indichi la via positiva lungo la quale si debba far scorrere la nostra esistenza. Altrimenti si rischia, in occasioni in cui si vede con chiarezza come il Male e l’Odio abbiano fatto dei danni terrificanti, di diventare e sentirsi pessimisti o depressi. Senza indulgere a pensieri troppo da lieto fine che dipingano un mondo a tinte sempre colorate, è bene che si dica chiaro e forte, come un messaggio da trasferire e in cui credere, che bisogna battersi sempre e in modo indefesso affinché i “cattivi” sin da subito non vincano o almeno, alla fine di tribolazioni, vengano sconfitti.