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16 mag 2023

I soliti noti

di Luciano Caveri

È normale che ci siano nella vita alti e bassi di umore, a seconda delle circostanze. Ma ci sono occasioni in cui l’umore diventa nero ed è giusto sfogarsi e scrivere come la si pensa, come scelta salutare. Confesso che, pur considerandomi persona tollerante, incomincio ad averne abbastanza di chi considera noi valdostani - e in generale i montanari - come dei sottosviluppati con l’anello al naso e la sveglia al collo. Al grido ”le montagne non sono vostre” fanno comunella fra di loro certi soggetti esterni e talvolta persino estranei alla vita vera in montagna, con certi personaggi locali che diventano animatori e altoparlanti delle proteste, come metodo di lotta politica manicheo. Con la furbizia di ammantarlo però da civismo e da mobilitazione della multiforme “società civile”, paravento e giustificazione ormai per tutto quanto. Ciò avviene in spregio ai meccanismi democratici che non sono la lotta continua e talvolta si manifesta con modi di stampo antagonista. A furia di farsi più grandi di quanto sono in realtà rischieranno prima o poi di scoppiare, come la famosa rana delle favoletta, che si gonfiava a dismisura per assomigliare al bue. Ma intanto i danni i soliti noti li fanno, usando raffiche di polemiche e persino chiedendo confronti, pur ben sapendo che non è il dialogo che cercano, ma il redditizio muro contro muro al grido di “no pasaran”. Restano in fondo degli abili manipolatori delle posizioni altrui e fingono di essere chissà quanti con gruppuscoli capitanati sempre dai professionisti di antica militanza che non mollano mai, come fecero i militari giapponesi rimasti nella giungla per anni dopo la chiusura della Seconda guerra mondiale. Esiste disprezzo e dileggio per chi è considerato nemico e finisce nel mirino dell’oltranzismo e della purezza degli ideali contrapposta sempre a chissà quale oscuro affarismo o quale triste cecità. Preoccupa in particolare chi vorrebbe imporre scelte dall’esterno sul nostro territorio con atteggiamenti dal sapore colonialista. Noi “indigeni”avremmo, in questa visione, bisogno di chi ci indichi saggiamente le strade giuste, perché noi non saremmo in grado di decidere in scienza e coscienza. Così qualunque cosa si decida da parte nostra sullo sviluppo futuro scatta la protesta con la logica di demonizzazione attraverso la vecchia tattica del discredito dell’avversario, scegliendo argomenti che finiscono per essere autentiche ossessioni. Credo che la misura sia colma e l’unico modo per reagire sia una reazione corale dei valdostani con un rilancio forte delle ragioni politiche della nostra Autonomia. Altrimenti a decidere saranno altri dal di fuori o chi dall’interno propone modelli confusi di società “dal sol dell’avvenire”. Per dirla alla Nanni Moretti.