Diciamoci la verità: nella nostra educazione sentimentale la curiosità non era considerato niente di buono e tipicamente dalla nonna (almeno dalla mia!) si veniva apostrofati da un classico: “Non essere troppo curioso!”. Era in tutta evidenza uno stravolgimento del significato vero, scambiando il curioso per il ficcanaso/impiccione che si intrufola in quanto non lo deve interessare. Per altro le cronache giornalistiche ne confermano l’uso, tipo i curiosi inopportuni sul luogo di un incidente stradale o quelli che ti spiano sui Social e non per leggerti, ma per farsi i fatti tuoi, almanaccando su quanto pubblichi. Vecchia storia anche nel mondo “analogico” se Giacomo Leopardi così scriveva nel 1845: “In ogni paese i vizi e i mali universali degli uomini e della società umana, sono notati come particolari del luogo. Io non sono mai stato in parte dov’io non abbia udito: qui le donne sono vane e incostanti, leggono poco, e sono male istruite; qui il pubblico è curioso de’ fatti altrui, ciarliero molto e maldicente; qui i danari, il favore e la viltà possono tutto; qui regna l’invidia, e le amicizie sono poco sincere; e così discorrendo; come se altrove le cose procedessero in altro modo. Gli uomini sono miseri per necessità, e risoluti di credersi miseri per accidente”. Invece ritengo che si debba essere curiosi nel senso buono, avendo rispetto per l’uso di curioso, quando ci indica una cosa insolita. L’Etimologico ci illumina: “Desideroso di rendersi conto di qualcosa; insolito, singolare : dal latino curiōsus ‘che si interessa; avido di conoscere; accurato’, derivazione di cūra ‘preoccupazione; sollecitudine, premura”. Questo è il lato buono della curiosità e che tra l’altro non va affatto riservata ai soli bambini piccoli, imbattibili fautori dei “perché?” su qualunque aspetto dello scibile umana. Con l’evidente vantaggio dei genitori di oggi di adoperare la ricerca su Google per apparire onniscienti di fronte alle domande le più bislacche dei loro figli. Ecco perché la curiosità resta un motore buono per dare freschezza anche nell’età più avanzata, come argutamente sostenuto da Gesualdo Bufalino: “Non è l’affievolirsi della vista, dell’udito, della memoria, della libido che segna l’avvento della vecchiaia e annunzia la prossima fine; ma è, dall’oggi al domani, la caduta della curiosità”. Più rivoluzionario e buono er tutte le età il pensiero di Michel Foucault: “La curiosità evoca la “cura”, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza mai di fronte a esso; una prontezza a giudicare strano e singolare quello che ci circonda; un certo accanimento a disfarsi di ciò che è familiare e a guardare le stesse cose diversamente; un ardore di cogliere quello che accade e quello che passa; una disinvoltura nei confronti delle gerarchie tradizionali tra ciò che è importante e ciò che è essenziale”. Dunque facciamoci prendere dalla curiosità se è sana investigazione dentro e attorno a noi, sapendo che non basterebbero dieci vite per occuparci di quanto sarebbe meritevole della nostra attenzione. Anzi, più il tempo incalza è più mi rendo conto di inseguire le mie curiosità. Con Emil Cioran: “La curiosità, non lo si ricorderà mai abbastanza, è il segno che si è vivi e ben vivi; la curiosità risolleva e arricchisce ad ogni istante questo mondo, vi cerca ciò che in fondo non smette di proiettarvi, è la modalità intellettuale del desiderio. Perciò, a meno che non sbocchi nel nirvana, l'incuriosità è un sintomo dei più allarmanti. In certe contrade dell'America latina, è consuetudine annunciare un decesso in questo modo: Un tale è diventato indifferente. Questo eufemismo da partecipazione funebre nasconde una filosofia profonda”.