Parto con una premessa, che fotografa - mi pare in modo oggettivo - una parola che si adopera molto. Tra l’altro finita in tendenza per le dichiarazioni della scrittrice Michela Murgia che, drammaticamente affetta da una malattia allo stato terminale, ha deciso sul tema di lasciare un segno, partendo dalla sua stessa famiglia in contestazione molto forte con la famiglia tradizionale. Ecco la definizione: “Il termine "queer" è usato per descrivere persone che non si identificano come eterosessuali o cisgender. Può essere usato come termine ombrello per descrivere una varietà di identità di genere e sessualità, tra cui gay, lesbiche, bisessuali, transgender, non binarie e asessuali. Il termine "queer" è stato storicamente usato in modo dispregiativo, ma è stato ripreso da alcuni membri della comunità LGBTQ+ come un termine di orgoglio. Alcuni lo vedono come un modo per sfidare le norme di genere e sessualità e per celebrare la diversità. Altri lo vedono come un modo per abbracciare la propria identità unica”. A questo proposito ringrazio chi, dopo la pubblicazione, ha meglio precisato la questione, segnalando come il termine transgender che così posto sembra riferirsi solo agli eterosessuali, quando in realtà sono transgender anche gay, bisessuali, transgender e asessuali perché anche queste persone si identificano chiaramente in un genere di appartenenza. Ho sin da ragazzino, quando seguivo con simpatia il Partito Radicale, per esserne poi iscritto per molti anni senza perdere la mia totale fede autonomista, creduto nell’assoluta forza dei diritti civili e umani. Ricordo i contributi di Norberto Bobbio, eminente filosofo e giurista, che ha dedicato buona parte del suo lavoro all'analisi di questi diritti, sostenendo come fossero fondamentali per la protezione della libertà individuale e per il corretto funzionamento di una società democratica Due passaggi, il primo ne ricorda le origini: “Sono nati in certe circostanze, contrassegnate da lotte per la difesa di nuove libertà contro vecchi poteri, gradualmente, non tutti in una volta e non una volta per sempre. [...] la libertà religiosa è un effetto delle guerre di religione, le libertà civili, delle lotte dei parlamenti contro i sovrani assoluti, la libertà politiche e quelle sociali, della nascita, crescita e maturità del movimento dei lavoratori salariati, dei contadini con poca terra o nullatenenti, dei poveri che chiedono ai pubblici poteri non solo il riconoscimento della libertà personale e delle libertà negative, ma anche la protezione del lavoro contro la disoccupazione, e i primi rudimenti d'istruzione contro l'analfabetismo, e via via l'assistenza per l'invalidità e la vecchiaia”. Il secondo passaggio risale in modo preveggente al 1990: “I diritti della nuova generazione [...] nascono tutti dai pericoli alla vita, alla libertà, alla sicurezza, provenienti dall'accrescimento del progresso tecnologico. Bastino questi tre esempi che sono al centro del dibattito attuale: il diritto a vivere in un ambiente non inquinato, donde hanno preso le mosse i movimenti ecologici [...); il diritto alla privatezza, che viene messo in serio pericolo dalla possibilità che hanno i pubblici poteri di memorizzare tutti i dati riguardanti la vita di una persona [...); il diritto [...] alla integrità del proprio patrimonio genetico, che va ben oltre il diritto alla integrità fisica Ha scritto il filosofo e politico americano Joel Feinberg : “Avere diritti, naturalmente, rende possibile la rivendicazione; ma è l'atto di rivendicare che conferisce ai diritti il loro specifico significato morale. Questa caratteristica dei diritti si ricollega in qualche modo alla consueta retorica su cosa significa essere umani. Avere diritti ci rende capaci di "alzarci in piedi da uomini", di guardare gli altri negli occhi e di sentirci fondamentalmente eguali a ciascun altro. Pensarsi come titolari di diritti significa sentirsi orgogliosi - legittimamente, non indebitamente -, significa avere quel minimo rispetto di se stessi che è necessario per meritarsi l'amore e la stima degli altri [...] e ciò che viene definita "dignità umana" può essere semplicemente la capacità riconoscibile di avanzare pretese [to assert claims]. Dunque, rispettare una persona, o pensarla come titolare della [possessed of] dignità umana semplicemente è pensarla come potenziale attore di rivendicazioni [maker of claims]”. Ciò detto e tenendo conto di come l’orientamento sessuale sia oggi in discussione torno all’inizio e alla considerazione che questa storia dei Queer è rivendicazione legittima, tuttavia ritengo che non sia condivisibile - a difesa di diritti altrettanti legittimi - ritenere che l’eterosessualità o la famiglia più o meno tradizionale sia un cascame del passato o persino un disvalore. Ci vuole equilibrio nei diritti degli uni e degli altri che io non discuto e proprio per questo penso che il rispetto delle posizioni debba sempre nei due sensi e dunque vicendevole, altrimenti non funziona.