Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
17 ago 2023

Lupi ed orsi: la politica del rinvio

di Luciano Caveri

È molto interessante rilevare come in Italia di fronte ad un problema si scelga di non scegliere. Si preferisce in molti casi aspettare, come se l’attesa da sola sortisse qualche decisione. Anzi, come sempre laddove la politica latita si lascia spazio alla giurisprudenza come ormai evidente potere sostitutivo, di cui poi si lamenta per gli eccessivi ruolo e incidenza. Mi riferisco ad un tema “antipatico” e cioè alla storia dei grandi carnivori sulle Alpi, lupi e orsi. Nel caso valdostano si tratta solo dei lupi, mentre gli orsi riguardano in particolare il Trentino, ma è inevitabile e già certificabile l’espansione piano piano nelle vallate vicine. Ne parlo per l’ennesima volta e lo faccio sapendo che tocco la sensibilità di certo animalismo, sia radicale che semplicemente alla moda, che dice in sostanza: questi predatori sono tornati, lasciateli vivere in pace e abituatevi alla loro presenza. Aggiungono più o meno: passata l’epoca in cui li avete sterminati, la modernità di pensiero vi obbliga a cambiare le vostre vite e il vostro lavoro in loro funzione. Mi pare di aver riassunto correttamente la posizione, difesa strenuamente ogni volta che si cerca di spiegare le nostre ragioni. Lupi ed orsi sono tornati grazie a fondi comunitari assai generosi, che hanno spinto - moltissimo per il lupo, visti i soldi in ballo - per riavere questi animali in effetti uccisi in passato dai montanari. Il problema è che, in assenza di competitori in natura perché sono predatori primari o superpredatori , questi animali si riproducono in maniera impressionante ed essendone vietata la caccia la loro espansione non è controllata dall’uomo, il solo a poterlo fare. Questo significa che attività tradizionali come l’allevamento del bestiame contano danni crescenti e qualunque barriera come reticolati elettrici e cani pastori non bastano per arginare le predazioni. Esistono in più crescenti paure nelle popolazioni locali e anche nei turisti che devono fare i conti con la la loro presenza. Certo fanno più paura gli orsi già dimostratisi letali, ma anche i lupi incutono un legittimo timore e dipingerli come innocui è ridicolo perché la pericolosità è incisa nelle cronache del passato. Ma chi non ci vuole sentire dipinge questi animali come docili agnellini cui non infliggere un limite al suo incremento demografico e la colpa dei loro comportamenti di predazione sta nei nostri comportamenti! Quando le autorità locali pretendono risposte dalla autorità nazionali ed europee su prende tempo e il Piano Lupo atteso da Roma per prelievi ragionevoli per gli eccessi dei grandi predatori giace inanimato. Le delibere per abbattimento di orsi confidenti, cioè che minacciano l’uomo, o assassini, perché hanno ucciso, finiscono per essere bloccate dalla Magistratura amministrativa, che entra a piedi uniti nelle decisioni politiche. L’Europa sa bene che dovrebbe essere modificata la normativa di protezione assoluta di lupi e orsi ma aspetta anche lei per evitare le polemiche degli animalisti, mentre Paesi dell’Unione si muovono in proprio. Questo non vuol dire stragi, ma prelievi ragionati sulla base dei comportamenti dei singoli lupi. Ora una legge provinciale di Bolzano non impugnata dal Governo (e dunque a quel modello ci si potrà adeguare come Speciali) potrebbe aprire uno spiraglio, consentendo abbattimenti del lupo anche senza i pareri dati entro un certo tempo prefissato da quello strano ente nazionale che è l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), emanazione del Ministero dell’Ambiente. Un bel misto di caos politico-amministrativo che consente di non decidere e chi lo scrive viene indicato da minoranze chiassose come un cattivo che non vede l’ora di veder scorrere il sangue di animali santificati in una evidente logica di rottura fra Montagna e Pianura. Questo è l’aspetto politico più rilevante, perché dimostra una crescente incomprensione fra chi vorrebbe una montagna alpina disabitata e “selvaggia” e chi ritiene che debba essere viva ed abitata, pur nel mantenimento degli equilibri naturali. Una sfida culturale e politica da affrontare una volta per tutte.