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14 ott 2023

La vita degli oggetti

di Luciano Caveri

Nella casa dei miei genitori, oggi resa triste e vuota dalla loro scomparsa, emergono oggetti dal passato, che specie mia madre era restia a buttare, in una logica di accumulazione tipica di generazioni del passato. Peggio di lei erano i miei nonni materni: li collegava l’idea che certe cose potessero prima o poi tornare utili. Altro che economia circolare! Noi, generazioni dello spreco, stentavamo a capire e invece oggi certe cose rinvenute riempiono di nostalgia e dimostrano un’intrinseca utilità, spesso perché l’ultimo filo che ci lega a papà e mamma che non ci sono più. Prima o poi in quella casa bisognerà sbaraccare tutto ed è triste ma ineluttabile liberarsi di scenari dell’infanzia, che sono ancora un segno dei posti dove siamo cresciuti e ci sono particolari che solo noi conosciamo e sono come tracce sulla sabbia destinate a sparire con noi. Esattamente come il cumulo di vecchie fotografie con persone scomparse che ci sorridono perlopiù in bianco e nero. Mi è venuto così da pensare - per un’analogia tutta mia - a certi oggetti che ci sembravano immortali nel loro uso e che, invece, sono spariti di scena, travolti dai cambiamenti. Ogni tanto io stesso trovo cimeli del tempo che fu: penso per la musica alle cassettine o ai compact disk (CD) e poi al rivoluzionario walkman, ai lettori mp3 o ai floppy disc per conservare i dati. Tutti questi strumenti apparivano già il top della modernità e invece si sono fatti superare a gran velocità da molte novità. Resta cerco - lo ripeto come un mantra usurato - come mai nessuna generazione precedente ha dovuto subire cambiamenti che, per riffa o per raffa, sono legati a quelle che un tempo venivano chiamate nuove tecnologie e oggi sono tutte in modo unitario riportabili alla rivoluzione digitale nel suo complesso. Riavvolgendo il nastro, ero invidiosissimo di chi sfoggiava il cercapersone, che mi sembrava l’ultima thule ed invece era un fuoco di artificio, spento subitaneamente dall’incalzare dei telefonini, dagli esordi sino agli ultimi mirabolanti modelli che ci ipnotizzano. Ero così curioso di fronte al primo fax con la sua carta chimica che si arrotolava, mentre oggi sembra un cigolante ferrovecchio, così come quello strano trillo con cui agli inizi ci si collegava faticosamente con il nonno dell’attuale Web. Oggi che si ascolta la musica con mille accrocchi, mi faccio tenerezza a pensare a quanto agognassi a certe autoradio estraibili che campeggiavano nelle macchine ormai d’epoca come se fosse un trofeo. Le nascondevamo sotto il sedile e il tossico astuto la individuava e spaccava il finestrino per rubarla. Mi è capitato di rinvenire rullini fotografici o negativi, che sono come sopravvissuti su di un’isola deserta in un cassetto assieme a videocassette di diverso formato e a videoregistratori di cui non si sa bene come disfarsi. Purtroppo la mancata digitalizzazione porterà certi supporti all’oblio e condannerà le relative immagini all’ineluttabile scomparsa. E cosa dire delle povere mappe stradali cartacee, un tempo preziose e ora destinate al macero e ci si domanda legittimamente come facevamo a raggiungere certe mete senza la voce del navigatore. Chissà che fine avrà fatto il ciclostile con cui da ragazzi si facevano i volantini delle proteste studentesche (ad Aosta la base erano PCI e CGIL, che cercavano di strumentalizzare la nostra ingenuità adolescenziale) e le macchine da scrivere con cui ho iniziato il mio lavoro di giornalista sembrano ottocentesche, cui seguirono i primi computer finiti poi in discarica ormai agonizzanti. Pensiero in libertà su pezzi di vita e di cuore, che sembrano lontanissimi nel tempo.